venerdì 30 settembre 2016

Alla ricerca di Dory


  • Perché è un film Pixar.
  • Perché è adatto a grandi e piccini.
  • Perché tratta di un tema difficilmente affrontato.




La pixar sforna un sequel, dopo 13 anni dal primo film d'animazione subacqueo su Nemo. Un'operazione non semplice perchè il primo film era autoconclusivo e non sembrava lasciare margini di storia, invece...

Invece la casa di produzione si Lasseter sposta il focus sul personaggio comprimario di "Alla ricerca di Nemo", facendolo diventare assoluto protagonista: Dory.


Dory è la pesciolina "svitatella" che aiuta l'ansioso padre di Nemo nell'avventura per ritrovare il figlio.
La storia dei comics e film è piena di personaggi "svitatelli", da Pippo, il compagno di Topolino, a Obelix, Groucho per Dylan Dog, fino ad arrivare a Sancho Panza, ma il matto era Don Chisciotte!

Il compagno buffo è da sempre un personaggio "must" di tante storie, strappa la risata, alleggerisce la storia e aiuta il protagonista. Qui il personaggio buffo è il protagonista.

Il colpo di genio della Pixar è quello di far diventare la goffa pesciolina la star e, allo stesso tempo, mettere in risalto la sua smemoratezza facendola diventare il cardine di tutta la storia.


"Soffro di amnesia a breve termine" è una delle frasi che Dory ripete sia nei flashback di quando è piccola, che da grande. 

Il doppio livello di lettura è quello di parlare di psicologia e malattie psichiatriche attraverso una storia apparentemente semplice, Dory deve ritrovare i genitori smarriti. Ma i genitori di Dory sono persi prima nella sua memoria e poi nella vastità dell'oceano.


Il film parla esattamente di questo, di memoria, di malattia, di panico e di accettazione della propria condizione (che da difetto diventa punto di forza), con la leggerezza tipica della Pixar. Una leggerezza che permette di far vedere il film ai bambini e far riflettere i genitori.

M.G.

giovedì 11 agosto 2016

AppocunTrio - Omaggio a Pino Daniele live@Corte delle Sculture, Prato 08/08/2016



• Per viaggiare con la musica

• Per ricordare

• Perché “Si nosotros no semos nada..Che c’accidite affa’?”






Primo concerto in assoluto per il neonato progetto “AppocunTrio” (Giacomo Ballerini, David Salvatori e Mirko Verrengia) quello svoltosi in un Lunedì d’Agosto tra le mura della Corte della Biblioteca Lazzeriniana di Prato. La formazione è da numero perfetto: chitarra/voce, percussioni e basso; l’intento non è da meno: omaggiare il bluesman partenopeo Pino Daniele attraverso i suoi successi dei primi vent’anni di carriera.

L’emozione, seppur celata da cordiali sorrisi, è evidente, ma nel giro di qualche minuto i tre musicisti trascinano il pubblico dritto dritto sull’A1 Mlano- Napoli, volteggiando, in puro stile Pino Daniele, sulle sonorità da world music e ritmi mediterranei.

Abituati alla pienezza dei suoni delle big band che solitamente accompagnavano Pino Daniele, non è facile, direbbero in tanti, ridurre tutto all’essenzialità di tre strumenti, togliendo anche quell’elettronica che tanto ha innovato il suo blues; invece scopri che sta proprio lì il segreto e la bravura del Trio: andare al cuore del suono, alla sua radice più profonda, permettendo comunque alla bella voce di Ballerini, toscano doc, di sottolineare quanto esso sia trasversale.




Il numeroso pubblico partecipa con entusiasmo quando riconosce i brani più famosi come “A me me piace o’ blues”, “’Na tazzulella ‘e cafè”, “O’Scarrafone” o “Alleria”, (incantevole l’intro del basso di Verrengia su “Quanno Chiove”), ma è ugualmente incuriosito da brani meno conosciuti, pescati oculatamente, come “Cumbà” o “Ferry Boat”, dove le percussioni di Salvatori non esitano a farsi sentire e ad incitare 600 persone a battere le mani. Il finale poi con “Napule è” è come il bacio della mamma che ti saluta prima di un lungo viaggio.

Data zero, si diceva, per questo trio targato Toscana/Campania; esordio apprezzatissimo che non tradirà sicuramente le date a venire.

E sona mo’!



Au.Lin

lunedì 9 maggio 2016

Human

  • Per trovare una risposta a cosa vuol dire essere Uomini
  • Per riflettere profondamente
  • Per ritrovarsi, ritrovare la nostra anima



“Non c’è niente di più forte di qualcuno che ti guarda dritto negli occhi e ti apre il suo cuore” ha detto Yann Arthus-Bertrand.
E’ così che il regista e fotografo francese ha concepito ‘HUMAN’, il documentario fuori concorso nell’ultima edizione del Festival di Venezia e presentato all’ONU per celebrare i 70 anni delle Nazioni Unite, straordinariamente concepito grazie al fatto che lo stesso abbia, nel corso di due anni, intervistato e dato voce a più di 2000 persone in 60 paesi diversi, nell’intento di trovare una risposta a cosa vuol dire ‘essere uomini’.


Il documentario, che  dura più di due ore, è dato da primi piani su migliaia di visi di persone (dagli Stati Uniti a Mali) che spiegano cosa intendono per vita o morte, che cosa intendono per felicità, amore, libertà, intervallati da immagini di grande potenza fotografica di svariati posti (dalla Mongolia alla Siria) in cui le culture e le vite di uomini e donne si snodano secondo stili di vita, idee ed abitudini socio-economiche molto diverse le une dalle altre.
Il continuo passaggio dai primi piani dei visi delle persone e la vastità della Terra sulla quale essi vivono, dà un immediato senso della relatività della presenza umana in questo mondo.
Già perché è di questo che si parla: di dove essa si annidi, dove è ancora possibile vedere quanto non ci siano differenze tra esseri umani dalle culture agli antipodi quando si parla di emozioni, di come è ancora possibile trovare una comunicazione tra essi.
Si potrebbe definire tecnica fotografico-antropologica: quando si tratta un tema molto connotato culturalmente, ad esempio la percezione del ruolo di genere tra uomo e donna, il regista, mentre lascia parlare una donna ghanese sulla motivazione della sua felicità (svegliarsi e correre al campo vicino casa per raccogliere il mais insieme ai nipoti), stacca sul viso di una moderna manager di successo inglese, quasi a voler mettere in ascolto questi due mondi che sembrerebbero antitetici, in un dialogo-confronto che indica la via della molteplicità dei punti di vista.


Il risultato, almeno per me, alla fine delle due ore e mezzo di proiezione, è che invece tutto ciò che noi esseri umani conserviamo di difforme è la costruzione della diversità, così come la costruzione di un conflitto, di una guerra.
Perché, dopo aver visto ‘Human’, ciò che resta, è la consapevolezza di quanto sia liberatorio riconoscersi in ciò che ci hanno indotto a credere dissimile, a quanto essenzialmente ci siamo volutamente, a poco a poco, allontanati da noi stessi.
Guardarlo è un ritrovarsi.
Buona visione.

Elisa Di Giorgi

martedì 1 marzo 2016

Il caso Spotlight

  • Per i premi oscar meritati
  • Perchè la violenza sessuale da parte dei preti è una vergogna mondiale
  • Per il taglio giornalistico che ha tutto il film  


Spotlight è il nome della squadra di giornalisti che si occupa di inchieste per il Boston Globe. Nel 2001 un nuovo direttore Marty Baron spinge la squadra ad investigare su dei casi di violenza sessuale su minori da parte di preti cattolici.

La forza del film sta nel crescendo della gravità dello scandalo e della contrapposizione del ruolo della Chiesa che in più di 30 anni non ha mai punito i preti colpevoli, ma li ha solamente spostati da una parrocchia all'altra. Preti recidivi nei loro crimini, tanto da essere studiati come casi psicologici e arrivare alla terribile stima che il 6% dei preti sarebbe colpevole di atti di pedofilia.

Il cast è incisivo "dall'incredibile Hulk" Mark Ruffalo, al "Birdman" Michael Keaton, fino all'ebreo direttore del giornale Liev Schreiber. Un team che trasmette le difficoltà di fare luce su un caso che sconvolge tutta la città, la cattolica Boston e ben presto tutto il paese.


Il film ha vinto il premio Oscar come migliore pellicola e migliore sceneggiatura originale. La produzione, alla cerimonia ha fatto un discorso sull'importanza del fatto che Papa Francesco condanni e faccia luce sulle reali responsabilità di chi sapeva e ha taciuto, di chi ha nascosto e insabbiato tutta questa vergognosa storia.

Spotlight non è un film da "effetto bomba" sullo spettatore, si discosta dal livello della normale produzione cinematografica americana. Si avvicina più a un classico come "Tutti gli uomini del presidente" e sembra dire che si, si può fare un film nel 2016 senza spari, inseguimenti ed esplosioni.


D'altro canto per tutto il film lo spettatore si aspetta qualcosa di più della vicenda psicologica dei suoi protagonisti, e questa attesa rende il film avvincente, ma forse non sostanzioso. Si tratta di un film di denuncia? Sicuramente si. Poteva essere più cattivo? Forse. Sembra quasi che regista e produzione, nonostante l'accusa alla chiesa cattolica, siano rispettosi del suo ruolo. Si ha l'impressione che la sceneggiatura cerchi di seguire fedelmente la storia originale, forse per paura di essere smentita o peggio citata in tribunale.

Un film attuale, basti pensare al caso del cardinale George Pell, dall'altra parte del mondo in Australia (http://www.ilpost.it/2016/03/01/george-pell-pedofilia). Un fenomeno di violenza sessuale mondiale troppo spesso taciuta.

M.G.

martedì 2 febbraio 2016

Il Piccolo Pricipe - il film

  • Per vedere con gli occhi di un bambino
  • Per "non dimenticare"
  • Per diventare degli adulti migliori 
Perché ... "l'essenziale è invisibile agli occhi"
Vi consiglio di leggere il libro
 


Mi ha fatto piacere vedere sul grande schermo una storia che “gira” attorno al -Piccolo Principe-, una storia che racconta di lui ma la quale protagonista è ben diversa. 

Innocenza, coraggio e cura dei sogni… questo è “il piccolo principe”, il film. Non uno storpiamento del Libro che amo di più. 


Il libro, scritto da Antoine de Saint-Exupéry, è stato pubblicato la prima volta nel 1943 ed ha come messaggio principale il senso della vita e il valore dell'amicizia e dell'amore. 
Tutto questo visto attraverso gli occhi di un bambino che, durante il suo viaggio, si interfaccia con "gli adulti", stereotipo della società moderna, rimanendo perplesso e disorientato dai loro pensieri e modi di fare).


Uscito al cinema l’1 gennaio 2016, nell’occasione del 70° anniversario dell’opera e presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2015, il film tratta l'amicizia tra una ragazzina e un anziano aviatore.


La loro conoscenza, comincia grazie alla magia di un aeroplanino di carta nel quale viene scritta ed illustrata una storia.
Molti anni prima, mentre si trovava nel deserto del Sahara, l'aviatore incontrò un bambino singolare che arrivava da un piccolo pianeta, l’asteroide B612. Quest'ultimo, durante il suo viaggio, aveva incontrato delle persone adulte che lo aveva lasciato confuso.






“Gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano sempre eternamente costretti a spiegar loro le cose”

Il fascino della sua curiosa avventura farà capire alla bambina, qual è il vero valore dell’amicizia e della fiducia e cos'è davvero importante nella vita.

La farà uscire da quel mondo di regole, responsabilità e scelte che cerca di imporle (per il suo bene) la madre, mancando di farle vivere l'età che ha. 
Un insegnamento che, a sua volta, comprenderà anche l'adulta.



Mark Osborne, regista del film, è riuscito a dividere la parte “reale” dalla favola/ricordo attraverso l’uso di elementi diversi dal solito digitale. 

Stupende le animazioni della storia del Piccolo Principe, l’uso della carta per rendere reali i  personaggi, della carta strappata per dare profondità e far attraversare lo spettatore da un tempo all'altro. 
Bello l’uso dei colori più caldi nella parte dei ricordi, la parte poetica del racconto.


Il messaggio finale esorta a non dimenticare mai, a diventare grandi senza smettere di coltivare i nostri sogni. Sono questi che ci fanno andare avanti e ci fanno affrontare in un modo migliore questa vita materiale e sempre programmata, che non ci permette di godere delle piccole cose.

Ci invitarimanere umani ricordando e vedendo sempre con gli occhi e l’innocenza di un bambino.

marel

lunedì 14 dicembre 2015

"Tutto quello che siamo" - presentazione del nuovo libro di Federica Bosco

  •  perché leggere fa sempre bene
  •  per sorridere
  •  per sognare


Sabato, 12 dicembre 2015, è stato presentato a Firenze il nuovo libro di Federica Bosco. Luogo scelto per il piacevole dialogo, l’ex convento trecentesco delle Oblate che, dal 2007, ospita una biblioteca pubblica.

L’incontro si è svolto come una chiacchierata amichevole, con sorpresa finale, tra l’autrice e Carlotta Agostini, giornalista di Lady Radio. 

L’intervento di Lorenzo Degl'Innocenti, Federica Miniati e Nicola Pecci, attori teatrali, ha animato parte del tempo introducendo paragrafi del manoscritto in base alla conversazione.

Federica Bosco, scrittrice e sceneggiatrice fiorentina, ha pubblicato, dal 2005 ad oggi, ben 15 libri.




Le sue storie hanno come protagoniste sempre donne giovani, un po’ “sfigate”, illuse o disilluse, ma si concludono sempre con un lieto fine. Sono personaggi che vivono in un mondo reale, con le quali ci immedesimiamo, che vivono ai nostri giorni ma l’attuale realtà è solo un contorno, come se fossero all’interno di una bolla e il resto fosse lontano.

Una presentazione piacevole, piena di battute spiritose e tante risate conclusa con la visita, a sorpresa, di Fausto Brizzi, regista del film “Pazza di me” (2013) tratto proprio dall’omonimo romanzo (2012) della Bosco.




 

"Chiunque vi dica che avere 19 anni è una cosa fantastica, è un imbecille. E lo dice perché non si ricorda com'era avere quell'età. Non si ricorda come ci si sente a essere costantemente arrabbiati, confusi e diversi. Sbagliati, sfigati, soli e sempre con qualcosa in meno rispetto agli altri. No, non se lo ricorda perché dopo va anche peggio. Dopo ci sono gli impegni, le responsabilità, il lavoro, la casa, la famiglia, persone di cui occuparsi. Il tanto desiderato pacchetto completo del "diventare adulti". Peccato che io questa parte del pacchetto l'avessi già ricevuta prima del tempo. E senza nemmeno chiederla."

Tutto quello che siamo è il suo ultimo libro. Uscito in libreria il 27 ottobre 2015, è già alla prima ristampa. 

Ambiantato a Firenze, è la storia di Marina, diciannovenne piena di sogni che non si realizzano per difficoltà pratiche, non ha una madre, ha un padre prepotente che la disprezza, Filippo, un fratellino piccolo da accudire. La scuola, il lavoro, una vita difficile e nessun appoggio se non Ginevra, l’amica del cuore e, infine, Nicholas… tutto a 19 anni.
Questo libro è un inno all’amicizia, perché quando non hai una famiglia a sostenerti, gli amici diventano la tua famiglia ed è un’inno al rapporto di amore puro, vero e sincero che c’è tra lei e il fratello.


Non ci resta che leggerlo!



marel

lunedì 23 novembre 2015

Spectre - 007


  • La prima metà del film;
  • Le citazioni ai vecchi film di 007;
  • Il ruolo più attivo di M, Moneypenny e Q;


Non ho mai amato troppo il personaggio di James Bond. Troppe donne ai suoi piedi, troppo elegante, troppo perfetto.
Al tempo stesso, da piccolo aspettavo il momento nei film della "presentazione" dei gadget: orologi esplosivi, valigette stordenti, penne mortali e automobili con ogni tipo di arma. Non vedevo l'ora di vedere quando e come James usasse quell'arma segreta che aveva provato in quei magnifici laboratori.


James Bond è nel 2015 ancora vivo e vegeto, ed esce al cinema con "Spectre" con ancora una volta (forse l'ultima) Daniel Craig nei panni dell'agente segreto. La Spectre, per chi non lo sapesse, dai film e libri degli anni '70 è l'associazione criminale internazionale contro cui Bond combatte. L'italiano Adolfo Celi in Agente 007 - Thunderball: Operazione tuono, è il numero 2 dell'associazione criminale Spectre e in questo film si sente la mancanza di un attore del suo calibro nel ruolo del cattivo.


Interessanti sono invece alcuni personaggi come M, Moneypenny e Q che, normalmente sono semplici comprimari alla trama, invece in Spectre hanno un ruolo attivo.

Senza rivelare troppo del film, possiamo dire che il film ha due andamenti diversi. La prima parte, quella con ambientazione messicana, italiana e austriaca, mantiene un'ottima suspence, utilizzando i misteri che già aveva tessuto il precendente film Skyfall. La seconda parte in Marocco e a Londra è sicuramente peggiore: via via che i misteri vengono svelati si cade nelle banalità e vizi di forma dei film della saga di 007.
Manca, come già detto, un attore di spessore come cattivo, qualcuno che metta veramente paura. Essere cattivi non è mai banale.


Vale la pena verdere Spectre?



Per gli amanti di 007 assolutamente si, è un tassello del puzzle che da oltre 50 anni appassiona i fan. Un capitolo interessante per la saga riniziata con Daniel Craig in Casino Royale. Inoltre ci sono citazioni (dalla pistola usata alla macchina) che sicuramente sono divertenti da scoprire. Per tutti gli altri, si ma non vi aspettate troppo.

M.G.