-per una riflessione su un argomento poco discussso, se non tabù.
-perchè le colpe dei padri ricadono sui figli.
-per non dimenticare mai il passato.
Cosa succederebbe se scoprissi che uno dei tuoi genitori è stato un nazista? Magari un gerarca, un colonnello che si è arricchito con il sangue e il denaro degli Ebrei, oppure era un semplice operaio che lavorava nei campi di concentramento o guidava il treno con i deportati. Cosa faresti se scoprissi che tuo padre è stato in qualche modo complice dell'olocausto?
Queste sono le domande che pone lo spettacolo, tratto da un'inchiesta di Peter Sichrovsky, figlio di ebrei austriaci, facendo parlare i figli dei nazisti. L'autore si domanda perchè negli anni '80, mentre lui racconta ripetutamente la storia dei suo genitori sopravvissuti ai campi di concentramento, i suoi coetanei figli dei nazisti tacessero sulla storia personale dei propri padri, come se fossero un tabù.
Il reportage di Sichrovsky intervista gli eredi dei soldati, dei gerarchi e dei semplici operai facendoli raccontare sotto forma di monologhi il peso delle colpe, il dramma di scoprire l'orribile responsabilità dei propri padri. Gli stessi padri e madri che li hanno fatto crescere con tutto l'amore possibile quei figli ignari (anche perchè spesso nati dopo l'olocausto) delle colpe dei padri.
Gli allievi attori del corso di formazione del Teatro Metastasio portano in scena con bravura e realta tante storie diverse, accusando talvolta i genitori, altri non sapendo che risposte cercare e, talvolta, giustificandoli. Completano la pièce la musica della tromba di Mirio Cosottini che accompagnano le immagini commoventi dei campi di concetramento.
MG.
lunedì 28 gennaio 2013
"Nati Colpevoli", gli allievi attori del Teatro Metastasio per la giornata della Memoria.
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Ubicazione:
Prato PO, Italia
sabato 26 gennaio 2013
AMLETO² - Il popolo non ha pane? Diamogli le brioches.
-per assistere ad una favola grottesca
-per ridere
-per l'istrionismo di Timi
-per l'istrionismo di Timi
La tragedia dell'Amleto è generalmente riconosciuta
come il senso stesso del teatro, il simbolo, l'icona quasi sacra, l'alfa e
l'omega con la quale ogni bravo attore deve prima o poi fare i conti. Amleto è
tormentato e per questo affascinante, simbolo di un dissidio interiore che lo
rende ambiguo nei confronti degli altri, ma soprattutto con se stesso, scuro,
caratterizzato dal classico abito nero e continuamente perseguitato dai
fantasmi della sua famiglia.
Filippo-Amleto-Timi, al teatro della Pergola di Firenze ad inizio gennaio, è invece, protagonista del
nostro tempo, un “ragazzino” viziato e annoiato, comico, spiazzante, colorato
ma al tempo stesso ambiguo nei suoi gesti e nelle sue parole; è, dunque,
elevato a potenza, perchè riesce a coniugare la tragedia, che caratterizza la
storia, alla commedia costruita dall'attore umbro.
La scena fissa, il sapiente gioco di luci e le
musiche, assolutamente azzeccate e accattivanti, i duetti comici, spesso anche
un po' troppo portati all'esasperazione, concorrono a realizzare le fasi della
pazzia avanzata del protagonista, conducendoci al commovente monologo finale di
Ofelia, bisbigliato tra le braccia di colui che aveva ingannato il suo amore,
l'unica ad essere rimasta così come Shakespeare la vuole, eterea, ingenua e
innamorata, l'unica che impazzisce sul serio per la più nobile delle cause,
l'amore.
Nesh
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giovedì 24 gennaio 2013
Django Unchained
- Il miglior Tarantino degli ultimi dieci anni
- Un film dal quale traspare la passione personale del regista per questo genere
- Immagini, dialoghi e musica magistralmente connessi
Quentin Tarantino ne ha fatta un'altra.
Da qualche parte negli Stati Uniti del Sud, a pochi anni dalla guerra civile, durante una delle pagine più folli della storia americana.
Lo schiavo Jamie Django Foxx, dopo essere stato reso libero dal galante cacciatore di taglie, Christoph Waltz, parte con lui per liberare la moglie, la bellissima Kerry Washington, schiava nelle grinfie del crudele e isterico Monsieur Candy, l'ormai icona cinematografica Leonardo Di Caprio, ricco possidente terriero per il quale lavora un insolito maggiordomo afroamericano, Samuel L. Jackson, quantomai buffo e ambiguo.
Questa volta, seppur velata, la sua è una storia d'amore: l'eroe che sfida il mondo per salvare la sua amata, spinto dalla voglia di riscatto personale e dal rancore.
Avvalendosi di un cast stellare ed istrionico, il regista americano gira una pellicola che è un intero omaggio agli spaghetti western.
Il soggetto, tratto dal Django del 1966 di Sergio Corbucci, con protagonista Franco Nero, che per Tarantino appare qui in un'amichevole partecipazione, passa sotto la lente pop e alterata del regista di Knoxville, che sceglie per esso, come sempre, un'eterogenea e assolutamente accattivante colonna sonora, alla quale contribuisce anche il maestro Ennio Morricone, componendo un brano dalla melodia dolce e dal gusto raffinato, che stona piacevolmente con le crudeli e sanguinarie scene.
In un susseguirsi di citazioni, facili colpi di pistola, dialoghi deliranti e grotteschi accompagnati da scene pulp, come il suggestivo schizzo di sangue rosso sugl'immacolati campi di cotone, lo spettatore rimane incollato alla poltrona per quasi tre ore.
Sarebbe superfluo aggiungere altro, anzi, una nota è d'obbligo: in "Django, la d è muta!".
NESH
martedì 22 gennaio 2013
Dieci inverni di Valerio Mieli
- per conoscere l’estate che si cela dietro ogni inverno
- per goderne dei colori e della fotografia
- per scoprire una Venezia diversa
Un albero di mele incontra una lampada bisognosa di accendersi ed è così che cominciano i dieci inverni:
- Io sono Silvestro.
- Camilla.
- Piacere, bel nome Camilla.
- Davvero ti piace?
- No, dicevo per dire...
Dieci inverni di sciarpe a righe, di colori e di maglioni
dieci inverni di verità mai dette, di sogni inespressi
dieci inverni per innamorarsi
dieci inverni per parlarsi
dieci inverni per scoprirsi e rivestirsi
dieci inverni per conoscerne le estati
dieci inverni per ascoltare
dieci inverni di acqua e di montagne, di libri e di lumache
dieci inverni per un fuoco
dieci inverni per sbagliare e per tornare
dieci inverni giovani e di decisioni
dieci inverni di traslochi e stufe accese
dieci inverni di debolezze e di freddezze
dieci inverni per un vaporetto
dieci inverni per tornare da dove si è venuti, da dove si è
cominciato
Dieci inverni quindi, dieci
quadri danno vita ad una commedia sentimentale che, seppur malinconica a
momenti, non risulta penosa ma sempre leggera e piacevole anche grazie ad
un’ottima fotografia e scenografia.
Film dolce, intenerisce nella sua
genuinità, alterna momenti d’ironia a momenti di riflessione.
Gli ambienti sia interni che
esterni non sono cupi e tetri come il freddo invernale inviterebbe a pensare ma
vengono utilizzati elementi di luce varia con colorazioni allegre ed intense in
ogni scena, come se si accedesse al giovane carattere dei protagonisti, ai
continui sbalzi d’umore propri dei ragazzi che si scoprono adulti.
La composizione finale è un’
aggregazione di teneri sentimenti a volte semplicemente abbozzati che crescono
nelle dinamiche della vita di due giovani adulti con il futuro davanti.
Recitato discretamente, senza
pretendere troppo dalla psiche dei personaggi che restano semplici e lineari
dall’inizio alla fine.
Piccolo cameo di Vinicio
Capossela che regala alla colonna sonora un gustoso testo da lui interpretato
(nel film stesso).
Il regista Valerio Mieli, viene premiato come miglior
regista esordiente con il David di Donatello 2010 ed il Nastro d’argento nello stesso anno; il film
è stato presentato anche nella sezione Controcampo alla Mostra Internazionale
d’Arte Cinematografica di Venezia 2009.
Rizzosi.
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lunedì 21 gennaio 2013
L’Amico Immaginario di Matthew Dicks
-Per chi non ha perso il desiderio di sognare.
-Per il senso dell’amicizia profonda.
-Per l’amico immaginario che è dentro di noi.
La vita di Max è quotidianamente scandita da regole che si è autoimposto, e che gli permettono di non entrare nel panico, cerca il suo filo logico nella confusione del mondo: la colazione si fa prima delle nove di mattina, altrimenti si sta digiuni fino al pranzo, e non si indossano mai più di sette indumenti per volta (scarpe escluse).
Ma un giorno la sua routine viene gravemente minacciata, Max viene rapito e l'unico che ha visto tutto è proprio l'unico che non può comunicare con nessuno se non con il bambino, il suo amico immaginario Budo.
-Per il senso dell’amicizia profonda.
-Per l’amico immaginario che è dentro di noi.
“Mi
chiamo Budo.
Esisto da cinque anni.
Cinque anni è una vita lunghissima per uno come me.
È stato Max a darmi questo nome.
Max è l’unico essere umano che riesce a vedermi."
Esisto da cinque anni.
Cinque anni è una vita lunghissima per uno come me.
È stato Max a darmi questo nome.
Max è l’unico essere umano che riesce a vedermi."
Max è un bambino di nove anni, affetto dalla
sindrome di Asperger. Per lui la vita è piuttosto complicata. Relazionarsi con
gli altri è difficile, andare a scuola è traumatico. Max detesta il contatto
fisico e i baci della mamma lo paralizzano, qualsiasi cambiamento lo
destabilizza così spesso si blocca e per alcuno ore perde il contatto con il
mondo che lo circonda. Max vive dentro se stesso e per questo è molto solo.
Budo ha cinque anni, non dorme mai, passa le sue nottate al distributore di benzina o in giro per la città. Passa facilmente attraverso porte e muri ma non può entrare in contatto con gli oggetti. Budo non lascia mai da solo Max, è sempre al suo fianco, pronto a suggerirgli la risposta nei momenti di difficoltà, a calmarlo e a tranquillizzarlo quando ha paura.
Budo è il migliore amico di Max.
Budo è immaginario, è il frutto della creatività di Max.
Nonostante i suoi problemi, Max è un bambino coraggioso. E’ diverso da tutti gli altri bambini, e per questo i coetanei lo prendono in giro o lo ignorano. La mamma cerca di farlo migliorare e gli ruba i baci di notte, il papà lo tratta come se fosse qualcun altro imponendo di calciare un pallone in un gioco che proprio non capisce e la maestra Gosk, pur essendo la miglior maestra del mondo, lo tratta in modo strano. Nessuno considera Max un bimbo normale, anzi tutti lo vorrebbero diverso, ma nonostante questo, lui continua ad alzarsi, a prendere l'autobus e ad andare a scuola. A vivere, insomma.
Budo ha cinque anni, non dorme mai, passa le sue nottate al distributore di benzina o in giro per la città. Passa facilmente attraverso porte e muri ma non può entrare in contatto con gli oggetti. Budo non lascia mai da solo Max, è sempre al suo fianco, pronto a suggerirgli la risposta nei momenti di difficoltà, a calmarlo e a tranquillizzarlo quando ha paura.
Budo è il migliore amico di Max.
Budo è immaginario, è il frutto della creatività di Max.
Nonostante i suoi problemi, Max è un bambino coraggioso. E’ diverso da tutti gli altri bambini, e per questo i coetanei lo prendono in giro o lo ignorano. La mamma cerca di farlo migliorare e gli ruba i baci di notte, il papà lo tratta come se fosse qualcun altro imponendo di calciare un pallone in un gioco che proprio non capisce e la maestra Gosk, pur essendo la miglior maestra del mondo, lo tratta in modo strano. Nessuno considera Max un bimbo normale, anzi tutti lo vorrebbero diverso, ma nonostante questo, lui continua ad alzarsi, a prendere l'autobus e ad andare a scuola. A vivere, insomma.
La vita di Max è quotidianamente scandita da regole che si è autoimposto, e che gli permettono di non entrare nel panico, cerca il suo filo logico nella confusione del mondo: la colazione si fa prima delle nove di mattina, altrimenti si sta digiuni fino al pranzo, e non si indossano mai più di sette indumenti per volta (scarpe escluse).
Ma un giorno la sua routine viene gravemente minacciata, Max viene rapito e l'unico che ha visto tutto è proprio l'unico che non può comunicare con nessuno se non con il bambino, il suo amico immaginario Budo.
Una storia profonda,toccante,che ci fa tornare
bambini e fantasticare su quello che potrebbe essere per noi l’immagine dell’amico
perfetto, come lo vogliamo noi.
Matthew Dicks, con il suo racconto ha toccato le
corde più profonde dell’animo di ognuno di noi,e con semplicità ha affrontato
un tema particolarmente difficile con una leggerezza unica.
Ciarrocks.
sabato 19 gennaio 2013
La Migliore Offerta di Giuseppe Tornatore.
-La maestria degli attori: la bravura di Geoffry Rush,
Donald Sutherland e la bellissima Sylvia Hoeks.
-L’arte (la sua bellezza e il suo mercato) difficilmente
raccontata al cinema. Impressionante la quantità e le varietà delle opere d’arte,
in particolari quadri, in un solo film.
-Quel perfetto ingranaggio che è la trama del film.
Doppia recensione per questo film.
C'era una volta una principessa infelice che
per colpa di un incantesimo era costretta a vivere rinchiusa in casa in una
città invisibile...
“La migliore
offerta” di Giuseppe Tornatore se fosse una fiaba potrebbe iniziare così.
Il regista
siciliano narra la storia di Virgil (Geoffry Rush), un esperto d'arte
egocentrico e misantropo, tanto da non meritare che il mondo venga da lui
toccato, preservando le sue mani solo per le opere d'arte, finzione per
eccellenza del mondo che ci circonda. Filo conduttore di tutto il film è,
infatti, il rapporto tra il vero e il falso, tra il celare e il rivelare.
Lei, Claire (Sylvia
Hoeks), una giovane ereditiera, vuole dismettere i beni di famiglia affidandosi
alla rinomata casa d'asta di Virgil, ma l'incontro tra i due non avviene
subito, infatti lei indifesa principessa non riesce a stare nel mondo esterno,
la sua ansia nel sentirsi tra le persone la porta ad un ritiro volontario nella
sua villa.
La curiosità e
il desiderio di vederla e averla, come se fosse un rarissimo ritratto, portano
Virgil ad una trasformazione che lo renderà più umano, ma schiavo di quello che
è un sentimento provato per la prima volta, l'amore; guardarla negli occhi è
una dolce emozione e sfiorare la sua pelle nuda è eccitante tanto quanto
toccare una tela antica.
Così, come un
intricato ingranaggio, il film è raccontato attraverso scene ricche di
magistrali e perfette inquadrature e scenografie sapientemente allestite, il
tutto contornato dalla grande musica del maestro Ennio Morricone.
"I sentimenti
umani sono come le opere d'arte: simulazioni! Ma in ogni falso c'è sempre
qualcosa di vero”, con questa frase, Tornatore, ci chiede cosa siamo
disposti ad offrire per ottenere quello che vogliamo; non siamo coscienti
dinnanzi alle nostre emozioni, siamo come nelle mani di un abile artista che ci
modella in una forma che mai prima di allora ci apparteneva; così, piano piano,
giorno dopo giorno, ci abbandoniamo ad esso, lasciando che l'amore dipinga sul
nostro volto un'espressione nuova.
Siamo, dunque, davvero autentici? Quello che mostriamo è
realtà? Siamo coerenti e sinceri con i nostri sentimenti , con noi stessi? Fino
a che punto è possibile spingerci?
Qual'è la nostra migliore offerta?
Nesh
Torna Tornatore con un cast tutto straniero, torna con una
storia d’amore che diventa un thriller, torna scrivendo una sceneggiatura che è
una vera e propria tela di ragno piena di passione, fobie, arte, avarità e,
ovviamente, amore.
Il mondo dell’arte e quello del suo mercato è lo scenario
dove si svolge la storia: Virgil Oldman è un prestigioso battitore d’aste e
mercante d’arte che vive da solo, circondato da opere d’arti, il suo unico
amico e complice Billy (Donald Sutherland) e la sua fobia di toccare le persone
e gli oggetti che non siano quadri. Incaricato da Claire, un’agorafobica (paura
degli spazi aperti) di raccogliere e stimare per un’asta nella vecchia villa
dove la ragazza vive nascosta da tutti. Nella sua ricerca il battitore d’asta
trova alcuni ingranaggi meccanici, li porta ad un suo amico esperto Robert con
cui cercherà di capire di cosa si tratta. Parte da qua una caccia al tesoro
intricata verso questo misterioso marchingegno e, in parallelo la relazione tra
i due mondi impauriti di Virgil e Claire.
I colpi di scena si susseguono alternati alle scene di
passione sottolineate dalle musiche del maestro Ennio Morricone (forse in alcune parti un po’ troppo “arieggianti”
visto il clima “sentimental-fobico”), in una trama densa degna di un film che
merita molto, anche fuori dal mercato cinematografico italiano.
I sentimenti come l’amicizia e l’amore, ma anche l’avidità,
la verità/finzione e le fobie sono i temi portanti di tutto il film, un film da
vedere sicuramente in questo 2013 appena iniziato.
MG.
lunedì 14 gennaio 2013
“Io non sono lei/ Una mela marcia rende marcio tutto il paniere” di e con Francesca Sarteanesi.
Officina Giovani - Re-think festival - Domenica 6 gennaio 2013
- Per goderne dell’intensità emotiva
- Per indossare il nostro abito bianco
- Per la questione del “debito”
Questo progetto nasce da un incontro
casuale, fatto all’interno del centro di attività espressive “La Tinaia” di
Firenze. “Ho incontrato una signora di una settantina d’anni ormai
suonati". Lei ha elaborato un trattato attraverso undici tavole disegnate
e scritte dove racconta la sua esperienza con la psichiatria. Ad ogni
medicinale assunto corrisponde un disegno. Ogni tavola descrive con amarezza ed
ironia come il suo corpo e la sua mente abbiano reagito ad ogni singolo farmaco
da lei stessa consapevolmente ingerito. F. Sarteanesi
Quando
una rappresentazione ha una matrice umana tangibile ed ancor più se tale
matrice tesse fitte tele di sofferenza e coraggio, ecco, mi sento sempre in
dovere di esser ancor più vigile e totalmente presente verso ciò che ho davanti.
È come se dietro la rappresentazione si creasse una sorta di debito non solo verso
chi la realizza sul momento ma anche nei confronti di chi l’ha vissuta
precedentemente. Anche per questo motivo ho voluto riportare le parole
dell’ideatrice e protagonista del lavoro. Il “materiale umano” va conservato e valorizzato.
Preciso
di aver visto solo un estratto del progetto che mi ha comunque incuriosita
oltreché convinta.
Nella
performance, ancor prima che l’attrice entri in scena, lo spettatore viene
colpito visivamente da un drappo bianco che riempie lo spazio e solo in un
secondo momento l’occhio vi scopre un vestito semplice, intuitivamente morbido
ma altrettanto pesante da portare da soli. Il modo in cui ingenuamente e
delicatamente viene indossato commuove e turba al tempo stesso. Paradossalmente
rispetto a ciò che la taglia umana criticherebbe, risulta altrettanto evidente
che sia il suo “abito”.
In
questo modo la protagonista Ci parla; di sé, di quello che l’assunzione di
farmaci le ha portato, ma anche di noi. E non c’è alcun modo di sfuggire come
emerge dal continuo risuonare di nomi… il mio, il tuo, quello dello spettatore
dietro di te…
Francesca
Sarteanesi non appare mai sopra le righe, prudente nella gestualità senza
quegli eccessi edulcorati che rischierebbero di cadere nel patetico, elegante e
rispettosa senza perdere quell’intensità che riesce a persuaderti.
Restano
interrogativi; una mela marcia rende marcio tutto il paniere? Anche se mi
domando ancora quale sia la mela marcia e, principalmente, una mela prima di
marcire, che mela è?
Rizzosi
domenica 13 gennaio 2013
Gamelot- Il Regno dei Giochi
- Giocare
- Giocare
- E ancora giocare! Perché divertirsi è una cosa seria
Questo invito all’uscita non fa parte del “solito” Tremotivi
ma non per questo è meno interessante, tutt’altro; invitiamo
infatti tutti i lettori grandi e piccini (ma soprattutto Grandi) ad
andare a GIOCARE!
Gamelot è un
negozio di giochi in scatola gestito da due giovani adulti, Massimo
e Mirko, che hanno voluto fare della propria passione un lavoro.
Da pochissimi mesi
è nato questo spazio (perché non è un semplice negozio)
in cui il possibile compratore è soprattutto un appassionato di giochi.
Per questo motivo i
due soci hanno proposto una serie di serate destinate alla condivisione
del momento ludico nel negozio stesso, “I Giovedì da Gamelot”. I giochi variano da serata a serata
e da tavolo a tavolo (infatti vengono messi a disposizione più giochi
a sera) ed il lato a mio parere più entusiasmante è dato dal fatto
che si possono incontrare e conoscere persone e ragazzi di diversa età
con il solo scopo di divertirsi e stare insieme (tra l’altro gratuitamente).
Una nota relativa alla
costruzione del negozio: positivo il fatto di rendere ogni gioco visibile
al possibile fruitore, non relegando il gioco stesso ad un ammasso di
scatole nascoste, prive del proprio valore ed importanza; in più la
possibilità di vedere e conoscere il gioco prima dell'acquisto.
Infine vi è anche
la possibilità di noleggio, cosa che favorisce l’occasione di
apprezzare o meno il prodotto previo acquisto.
Per contattare i diretti
interessati potete chiamare il numero 055/3851116
mail: gamelot7778@gmail.com
Troverete Gamelot
in Via Gramsci 151, 50019, Sesto Fiorentino (FI)
Rizzosi.
martedì 8 gennaio 2013
Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico di Luis Sepúlveda.
-
amicizia nella diversità
-
semplicità
-
messaggi squisitamente positivi
“Rieccolo”, ho
pensato; e ci ho girato un mese intorno: "Lo compro, non lo compro… Orsù dunque,
compriamolo!”. Ed ho fatto proprio bene. I tre quarti d’ora più dolci degli
ultimi mesi.
Si tratta
esattamente di quello che ci preannuncia il titolo, né più né meno: storia di
un gatto e del topo che diventò suo amico; anche se a dirla tutta manca
un’altra parte secondo me fondamentale ed invece riuscita a pieno nel titolo
spagnolo: “Historia de Mix, de Max y de Mex” (lascio al lettore il compito
d’individuare chi è l’uno e chi l’altro).Si tratta infatti di un’amicizia che
include anche un essere umano.
Torniamo al
libro. Lettura rapida, indolore e che infonde la voglia di “bontà”. Un’amicizia
tra più esseri viventi che si sanno rispettare semplicemente per quel che sono
data la propria natura. Un testo scritto per tutti anche se non nego che
risulta più adatto nell’evidente linguaggio puerile. La lettura ne acquista
sicuramente se fatta ad alta voce di fronte ad un pubblico ingenuo, infantile,
riuscendo a dar corpo a sentimenti evidenti pieni di messaggi positivi che non
si nascondono in dietrologie di alcun tipo.
“Potrei dire che Mix è il gatto di Max,
oppure che Max è l’umano di Mix, ma come ci insegna la vita non è giusto che
una persona sia padrona di un’altra persona o di un animale, quindi diciamo che
Max e mix, o Mix e Max, si vogliono bene”. Luis
Sepulveda.
Rizzosi.
lunedì 7 gennaio 2013
Stagione concertistica a Santa Monaca
- Buona musica lirica con artisti di qualità
- Firenze
- Silvia Di Falco
Santa Monaca - Affresco di Pontormo e Bronzino
La Chiesa di Santa Monaca, edificio XV secolo, situata nel centro storico fiorentino, oggi sconsacrata e sede di eventi culturali quali mostre e concerti, ha chiuso il 4 gennaio, la stagione concertistica del 2012 ospitando l'ultimo concerto lirico eseguito dal soprano Silvia Di Falco accompagnata dal pianista David Boldrini.
Siciliana di nascita e diplomata nel 2004 all'Istituto Musicale "V. Bellini" di Catania, Di Falco consegue nel 2007 la specializzazione di II livello al Conservatorio "G.B. Martini" di Bologna, si esibisce per importanti associazioni musicali italiane e all'estero, in Spagna, in teatri del New Jersey, della Florida, di Panama, Cairo, Varsavia e Ljubliana.
Attualmente collabora con diverse associazioni toscane esibendosi in concerti come quello del 4 gennaio, spesso accompagnata al pianoforte da David Boldrini, pianista toscano direttore artistico dell'associazione Ramimusicali e vincitore di numerosi concorsi nazionali ed internazionali.
Gli artisti si sono esibiti per un'ora di concerto con vari brani tratti da un repertorio operistico ottocentesco prevalentemente di autori italiani (vedi scaletta in basso).
La voce morbida del soprano Di Falco, che spazia dalla gioia alla drammaticità in base al personaggio interpretato, insieme ad un eccellente accompagnatore e ad una scena accogliente con un'acustica di tutto rispetto, ha reso il concerto coinvolgente e capace di emozionare il pubblico anche fino alle lacrime ottenendo molti applausi e la richiesta di un bis.
Un'ora passata in una cornice minuscola ma incantevole che, speriamo, spronerà un sempre maggiore pubblico a partecipare all'ascolto della buona musica lirica con voci che seguono la strada della Qualità e della Cultura.
Scaletta delle opere interpretate:
- W.A.Mozart "Porgi amor" da Le Nozze di Figaro
-G.Puccini "Quando men vò" da La Bohème
-G.Puccini "Un bel dì vedremo" da Madama Butterfly
-G.Verdi "Preludio da Traviata (piano solo)
-G.Donizetti "Sò anch'io la virtù magica" da Don Pasquale
-G.Verdi "Brindisi" da Traviata
-G.Puccini "Vissi d'arte" da Tosca
-Luigi Arditi "Il bacio"
-G.Verdi Preludio III atto da Traviata (piano solo)
-G.Verdi "E' strano...Sempre libera" da Traviata
Adesso aspettiamo l'inizio della prossima stagione!
marel
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sabato 5 gennaio 2013
Grazie di Daniel Pennac.
- ironia ed intelligenza
- che senso ha ringraziare?
- ringraziare… e ringraziarsi!
Cominciare il nuovo
anno con un sonoro “Grazie” lo trovo decisamente di buon auspicio;
ecco perché ho deciso di riprendere questo non recentissimo testo di
Pennac.
È un libro nato come
testo teatrale che “chiede grazie” e riflette in modo ironico ed
intelligente su cosa significhi ringraziare coloro che ci circondano.
Il tutto prende vita
ricevendo un premio e dovendo, come in ogni occasione più o meno
mondana, rivolgersi a chi ci sta di fronte regalando un pensiero. Un
pensiero che si traduce in questo testo mai noioso o ridondante come
l’elementarità del gesto avrebbe potuto generare.
L’arguzia dell’autore
è riuscita a creare un personaggio che lo/ci rappresentasse utilizzando
il semplice caos che da sempre fa parte dell’essere umano. Per cui
ne emerge una figura a tratti grottesca ma mai banale condita di sottili
riflessioni che riportano il lettore a riflessione genuinamente proprie.
Per passare un paio
d’ore di lettura intelligente ma leggera.
“Siamo a teatro, noi in platea, lui sul palcoscenico.
Quando si alza il sipario lui è di schiena, in controluce, di fronte a un’altra
sala dirimpetto a noi che lo applaude fragorosamente. Lo vediamo profilarsi
come un’ombra cinese nell’alone abbagliante dei riflettori e ringraziare
l’altra sala che lo acclama.
Grida:
- Grazie!”
Daniel Pennac
Rizzosi.
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