martedì 1 marzo 2016

Il caso Spotlight

  • Per i premi oscar meritati
  • Perchè la violenza sessuale da parte dei preti è una vergogna mondiale
  • Per il taglio giornalistico che ha tutto il film  


Spotlight è il nome della squadra di giornalisti che si occupa di inchieste per il Boston Globe. Nel 2001 un nuovo direttore Marty Baron spinge la squadra ad investigare su dei casi di violenza sessuale su minori da parte di preti cattolici.

La forza del film sta nel crescendo della gravità dello scandalo e della contrapposizione del ruolo della Chiesa che in più di 30 anni non ha mai punito i preti colpevoli, ma li ha solamente spostati da una parrocchia all'altra. Preti recidivi nei loro crimini, tanto da essere studiati come casi psicologici e arrivare alla terribile stima che il 6% dei preti sarebbe colpevole di atti di pedofilia.

Il cast è incisivo "dall'incredibile Hulk" Mark Ruffalo, al "Birdman" Michael Keaton, fino all'ebreo direttore del giornale Liev Schreiber. Un team che trasmette le difficoltà di fare luce su un caso che sconvolge tutta la città, la cattolica Boston e ben presto tutto il paese.


Il film ha vinto il premio Oscar come migliore pellicola e migliore sceneggiatura originale. La produzione, alla cerimonia ha fatto un discorso sull'importanza del fatto che Papa Francesco condanni e faccia luce sulle reali responsabilità di chi sapeva e ha taciuto, di chi ha nascosto e insabbiato tutta questa vergognosa storia.

Spotlight non è un film da "effetto bomba" sullo spettatore, si discosta dal livello della normale produzione cinematografica americana. Si avvicina più a un classico come "Tutti gli uomini del presidente" e sembra dire che si, si può fare un film nel 2016 senza spari, inseguimenti ed esplosioni.


D'altro canto per tutto il film lo spettatore si aspetta qualcosa di più della vicenda psicologica dei suoi protagonisti, e questa attesa rende il film avvincente, ma forse non sostanzioso. Si tratta di un film di denuncia? Sicuramente si. Poteva essere più cattivo? Forse. Sembra quasi che regista e produzione, nonostante l'accusa alla chiesa cattolica, siano rispettosi del suo ruolo. Si ha l'impressione che la sceneggiatura cerchi di seguire fedelmente la storia originale, forse per paura di essere smentita o peggio citata in tribunale.

Un film attuale, basti pensare al caso del cardinale George Pell, dall'altra parte del mondo in Australia (http://www.ilpost.it/2016/03/01/george-pell-pedofilia). Un fenomeno di violenza sessuale mondiale troppo spesso taciuta.

M.G.

martedì 2 febbraio 2016

Il Piccolo Pricipe - il film

  • Per vedere con gli occhi di un bambino
  • Per "non dimenticare"
  • Per diventare degli adulti migliori 
Perché ... "l'essenziale è invisibile agli occhi"
Vi consiglio di leggere il libro
 


Mi ha fatto piacere vedere sul grande schermo una storia che “gira” attorno al -Piccolo Principe-, una storia che racconta di lui ma la quale protagonista è ben diversa. 

Innocenza, coraggio e cura dei sogni… questo è “il piccolo principe”, il film. Non uno storpiamento del Libro che amo di più. 


Il libro, scritto da Antoine de Saint-Exupéry, è stato pubblicato la prima volta nel 1943 ed ha come messaggio principale il senso della vita e il valore dell'amicizia e dell'amore. 
Tutto questo visto attraverso gli occhi di un bambino che, durante il suo viaggio, si interfaccia con "gli adulti", stereotipo della società moderna, rimanendo perplesso e disorientato dai loro pensieri e modi di fare).


Uscito al cinema l’1 gennaio 2016, nell’occasione del 70° anniversario dell’opera e presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2015, il film tratta l'amicizia tra una ragazzina e un anziano aviatore.


La loro conoscenza, comincia grazie alla magia di un aeroplanino di carta nel quale viene scritta ed illustrata una storia.
Molti anni prima, mentre si trovava nel deserto del Sahara, l'aviatore incontrò un bambino singolare che arrivava da un piccolo pianeta, l’asteroide B612. Quest'ultimo, durante il suo viaggio, aveva incontrato delle persone adulte che lo aveva lasciato confuso.






“Gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano sempre eternamente costretti a spiegar loro le cose”

Il fascino della sua curiosa avventura farà capire alla bambina, qual è il vero valore dell’amicizia e della fiducia e cos'è davvero importante nella vita.

La farà uscire da quel mondo di regole, responsabilità e scelte che cerca di imporle (per il suo bene) la madre, mancando di farle vivere l'età che ha. 
Un insegnamento che, a sua volta, comprenderà anche l'adulta.



Mark Osborne, regista del film, è riuscito a dividere la parte “reale” dalla favola/ricordo attraverso l’uso di elementi diversi dal solito digitale. 

Stupende le animazioni della storia del Piccolo Principe, l’uso della carta per rendere reali i  personaggi, della carta strappata per dare profondità e far attraversare lo spettatore da un tempo all'altro. 
Bello l’uso dei colori più caldi nella parte dei ricordi, la parte poetica del racconto.


Il messaggio finale esorta a non dimenticare mai, a diventare grandi senza smettere di coltivare i nostri sogni. Sono questi che ci fanno andare avanti e ci fanno affrontare in un modo migliore questa vita materiale e sempre programmata, che non ci permette di godere delle piccole cose.

Ci invitarimanere umani ricordando e vedendo sempre con gli occhi e l’innocenza di un bambino.

marel

lunedì 14 dicembre 2015

"Tutto quello che siamo" - presentazione del nuovo libro di Federica Bosco

  •  perché leggere fa sempre bene
  •  per sorridere
  •  per sognare


Sabato, 12 dicembre 2015, è stato presentato a Firenze il nuovo libro di Federica Bosco. Luogo scelto per il piacevole dialogo, l’ex convento trecentesco delle Oblate che, dal 2007, ospita una biblioteca pubblica.

L’incontro si è svolto come una chiacchierata amichevole, con sorpresa finale, tra l’autrice e Carlotta Agostini, giornalista di Lady Radio. 

L’intervento di Lorenzo Degl'Innocenti, Federica Miniati e Nicola Pecci, attori teatrali, ha animato parte del tempo introducendo paragrafi del manoscritto in base alla conversazione.

Federica Bosco, scrittrice e sceneggiatrice fiorentina, ha pubblicato, dal 2005 ad oggi, ben 15 libri.




Le sue storie hanno come protagoniste sempre donne giovani, un po’ “sfigate”, illuse o disilluse, ma si concludono sempre con un lieto fine. Sono personaggi che vivono in un mondo reale, con le quali ci immedesimiamo, che vivono ai nostri giorni ma l’attuale realtà è solo un contorno, come se fossero all’interno di una bolla e il resto fosse lontano.

Una presentazione piacevole, piena di battute spiritose e tante risate conclusa con la visita, a sorpresa, di Fausto Brizzi, regista del film “Pazza di me” (2013) tratto proprio dall’omonimo romanzo (2012) della Bosco.




 

"Chiunque vi dica che avere 19 anni è una cosa fantastica, è un imbecille. E lo dice perché non si ricorda com'era avere quell'età. Non si ricorda come ci si sente a essere costantemente arrabbiati, confusi e diversi. Sbagliati, sfigati, soli e sempre con qualcosa in meno rispetto agli altri. No, non se lo ricorda perché dopo va anche peggio. Dopo ci sono gli impegni, le responsabilità, il lavoro, la casa, la famiglia, persone di cui occuparsi. Il tanto desiderato pacchetto completo del "diventare adulti". Peccato che io questa parte del pacchetto l'avessi già ricevuta prima del tempo. E senza nemmeno chiederla."

Tutto quello che siamo è il suo ultimo libro. Uscito in libreria il 27 ottobre 2015, è già alla prima ristampa. 

Ambiantato a Firenze, è la storia di Marina, diciannovenne piena di sogni che non si realizzano per difficoltà pratiche, non ha una madre, ha un padre prepotente che la disprezza, Filippo, un fratellino piccolo da accudire. La scuola, il lavoro, una vita difficile e nessun appoggio se non Ginevra, l’amica del cuore e, infine, Nicholas… tutto a 19 anni.
Questo libro è un inno all’amicizia, perché quando non hai una famiglia a sostenerti, gli amici diventano la tua famiglia ed è un’inno al rapporto di amore puro, vero e sincero che c’è tra lei e il fratello.


Non ci resta che leggerlo!



marel

lunedì 23 novembre 2015

Spectre - 007


  • La prima metà del film;
  • Le citazioni ai vecchi film di 007;
  • Il ruolo più attivo di M, Moneypenny e Q;


Non ho mai amato troppo il personaggio di James Bond. Troppe donne ai suoi piedi, troppo elegante, troppo perfetto.
Al tempo stesso, da piccolo aspettavo il momento nei film della "presentazione" dei gadget: orologi esplosivi, valigette stordenti, penne mortali e automobili con ogni tipo di arma. Non vedevo l'ora di vedere quando e come James usasse quell'arma segreta che aveva provato in quei magnifici laboratori.


James Bond è nel 2015 ancora vivo e vegeto, ed esce al cinema con "Spectre" con ancora una volta (forse l'ultima) Daniel Craig nei panni dell'agente segreto. La Spectre, per chi non lo sapesse, dai film e libri degli anni '70 è l'associazione criminale internazionale contro cui Bond combatte. L'italiano Adolfo Celi in Agente 007 - Thunderball: Operazione tuono, è il numero 2 dell'associazione criminale Spectre e in questo film si sente la mancanza di un attore del suo calibro nel ruolo del cattivo.


Interessanti sono invece alcuni personaggi come M, Moneypenny e Q che, normalmente sono semplici comprimari alla trama, invece in Spectre hanno un ruolo attivo.

Senza rivelare troppo del film, possiamo dire che il film ha due andamenti diversi. La prima parte, quella con ambientazione messicana, italiana e austriaca, mantiene un'ottima suspence, utilizzando i misteri che già aveva tessuto il precendente film Skyfall. La seconda parte in Marocco e a Londra è sicuramente peggiore: via via che i misteri vengono svelati si cade nelle banalità e vizi di forma dei film della saga di 007.
Manca, come già detto, un attore di spessore come cattivo, qualcuno che metta veramente paura. Essere cattivi non è mai banale.


Vale la pena verdere Spectre?



Per gli amanti di 007 assolutamente si, è un tassello del puzzle che da oltre 50 anni appassiona i fan. Un capitolo interessante per la saga riniziata con Daniel Craig in Casino Royale. Inoltre ci sono citazioni (dalla pistola usata alla macchina) che sicuramente sono divertenti da scoprire. Per tutti gli altri, si ma non vi aspettate troppo.

M.G.

mercoledì 11 novembre 2015

Woman in Gold

  • Per una conoscenza in più sull'Arte
  • Per una conoscenza in più sulla Storia
  • Per una serata tranquilla 


Chi non conosce l'Adele d'oro del famoso Gustav Klimt (1907) non sa che la modella committente del quadro è Adele Bloch-Bauer I, zia acquisita del personaggio principale di questo film: Maria Altman, interpretata da Helen Mirren, è stata una dei tanti fortunati sopravvissuti all'olocausto.
Opera meravigliosa, il quadro, ostenta tutte le caratteristiche dell'Art Nouveau (Jugendstil in Germania, Secessione in Austria) con l'utilizzo di nuovi materiali, nuove tecniche, figure astratte e linee morbide che richiamano gli elementi della natura.

Nei primi anni di questo secolo, il governo austriaco, forse per sdebitarsi del danno compiuto dai nazisti, promulgò una legge attraverso la quale potevano essere recuperate, ormai dagli eredi, le opere che i nazisti avevano trafugato nelle case degli ebrei e, dopo la morte della sorella, Maria Altman che era fuggita in America prima della guerra, venne a conoscenza del fatto che la sorella stava provando ad avere indietro proprio le opere che kilt aveva dipinto per la zia e che quest'ultima aveva lasciato in eredità alle nipoti.

L'adele d'oro, dopo la seconda guerra mondiale, divenne il simbolo di Vienna e per nessuna ragione al mondo se ne sarebbero separati ma la determinazione della Altman e la bravura dell'avvocato che si è occupato del caso (Altman contro lo stato austriaco) hanno fatto si che l'Austria cedesse, restituendo tutto alla legittima proprietaria.


Woman in Gold, film di Simon Curtis, racconta la vita di questa donna e la lotta contro il governo austriaco per avere giustizia; la racconta come fosse una storiella insignificante dando l'impressione di aver dimenticato delle parti, invece di dare peso all'intensità della storia e alla forza della giustizia finale. Una donna sola e anziana, che vive dall'altra parte del mondo, contro uno stato intero, lei e il suo avvocato, Randol Schoenberg (interpretato da Ryan Reynolds), anche lui di origini austriache, che lottano per una giustizia che va oltre l'opera d'arte.

Sono quasi più belli i flash back della sua giovinezza nell'Austria dei primi anni '40 che la parte di storia contemporanea. Poteva essere un film potente, forse più sentimentale o, al contrario più razionale e impersonale ma il risultato, invece, è debole.
marel

venerdì 23 ottobre 2015

Poli Opposti

  • per una serata tranquilla al cinema
  • per cambiare genere cinematografico e tornare a casa leggeri
  • per il pubblico femminile: per rifarsi gli occhi! 

Poli Opposti, film di Max Croci.

Terapista di coppia lui (Stefano - Luca Argentero), avvocato divorzista incallita e cocciuta lei (Claudia - Sarah Felberbau), si incontrano e si scontrano per tutto il film in situazioni carine ma un po’ “insipide”… prevedibili, scontate.

Stefano e Mariasole (Anna Safroncik) vivono un matrimonio in crisi rimanendo insieme per salvaguardare le apparenze.
Claudia, mamma single di Luca (Riccardo Russo), donna apparentemente forte e decisa, passa le sere a guardare film romantici, in lacrime.
Le loro vite si incrociano quando Stefano decide che le apparenze non contano più e, stanco della moglie petulante, si trasferisce (casa e studio) in un appartamento di proprietà di Alessandro (Gianpaolo Morelli), amico d’infanzia ritrovato e marito bugiardo di Rita (Elena Di Cioccio).


L’appartamento si trova nel palazzo dove vive e lavora Claudia e, casualmente, sullo stesso pianerottolo.
Da questo trasferimento cominciano dispetti e litigi tra i due adulti che lavorano, uno per ricongiungere le coppie in crisi e l’altra per distruggere i mariti delle clienti che hanno chiesto il divorzio. 


Opposti nel lavoro quanto nelle personalità, pacato e razionale lui (secondo me troppo), “sclerata”, provocatoria e istintiva lei, si ritroveranno catapultati indietro nel tempo, un tempo lontano in cui erano stati inseparabili.
Attratti l’un l’altro ma orgogliosi, ripicca dopo ripicca, cedono e si ritrovano.
Quando si dice “gli opposti si attraggono!”
Perno dello sbocciare del loro “amore”, il figlio di lei, bambino vittima dei bulli della scuola che trova in Stefano, un fidato complice al quale si lega come un figlio. (Forse questa è la cosa più bella del film).


Un ottimo cast. Bravi gli attori ma, forse, un po’ sprecati per il tipo di film girato; nonostante l’impegno, alcune scene sembrano forzate e ad altre sembra manchino dei passaggi.
Commedia romantica che trasmette leggerezza nel senso buono del termine ma, probabilmente, con aspettative più alte del risultato finale.


Commedia scontata che ti fa riflettere sul rapporto uomo-donna (diverso nella fiction, rispetto alla realtà) e che alla fine lascia addosso quella sensazione di assenza, di mancanza di qualcosa nella pellicola.

marel

giovedì 22 ottobre 2015

Suburra

  • Per vedere due attori fuori dei loro ruoli abituale: il cattivo Amendola e il corrotto   Favino.
  • Perchè è prodotta dall'industria mediatica del futuro: Netflix.
  • Perchè è un ritratto di storia italiana contemporanea: dimissioni del Papa, Governo e la famiglia zingara dei Casamonica.


Dal 22 ottobre 2015 Netflix, il servizio di streaming online on demand, a pagamento, di film e serie televisive è disponibile anche in Italia.
Una rivoluzione silenziosa, che forse sarà potente mediaticamente o forse no.
Nelle sale, quasi contemporaneamente, esce il primo film, prodotto da Netflix insieme a Cattleya e Rai: Suburra, di Stefano Sollima.

Suburra è tratto dal romanzo di Giancarlo De Cataldo (magistrato e autore anche di Romanzo Criminale, il libro sulla Banda della Magliana) e Carlo Bonini, lo stesso regista della serie di Gomorra e ACAB. 
Tutte queste influenze si sentono nell'opera cinematografica e diventano un marchio di fabbrica Made in Italy nelle produzioni nostrane.

Il film è ambientato a Roma, nei giorni tra il 5 e il 12 Novembre 2011. Sono i giorni in cui il Papa sta meditando di dimettersi e il governo è in crisi: il crollo delle istituzioni. 
Il potere politico è rappresentato dal parlamentare Filippo Malgradi (uno strepitoso Pierfrancesco Favino) ed intrecciato con quello della malavita di Samurai (un inedito Claudio Amendola) e l'alta borghesia romana (Elio Germano). Tra chiesa e casinò, tra famiglie malavitose zingare (il riferimento alla storia della famiglia Casamonica è impressionante) e band di Ostia (il personaggio forse meno riuscito è Numero 8 interpretato da Alessandro Borghi), Suburra è un film immediatamente violento e incisivo, un continuo ideale al mondo romano dopo la Banda della Magliana.




Una visione contemporanea dei polizieschi (o poliziotteschi come venivano chiamati) dei film anni '70, violenti, cinici e collusi con il potere.



Il processo di Mafia Capitale, il funerale del boss dei Casamonica che ha portato Roma sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, le dimissioni del sindaco Ignazio Marino e ancora la droga nella politica e la compravendita dei parlamentari, oltre ad una dose massiccia di sesso e violenza, inusuale per una produzione cinematografica italiana: tutto sembra riportare al film di Sollima, facendo si che realtà e fiction si mischino continuamente. Probabilmente è questa violenta credibilità che ha interessato le produzioni estere, tanto da portarli all'acquisto e alla distribuzione della pellicola.

M.G.