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sabato 7 marzo 2015

Corcos - I sogni della Belle Époque

- Per una gita fuori porta
- Per conoscere una parte di belle époque italiana
- Per vedere gli occhi profondi e reali delle sue tele




"In un ritratto quel che conta sono gli occhi; se quelli riescono come voglio, con l'espressione giusta, il resto viene da sé"

Si è conclusa a metà dicembre la mostra dedicata all'artista toscano, Vittorio Corcos.
Installata a Palazzo Zabarella di Padova, a cura di Ilaria Taddei, Fernando Mazzocca e Carlo Sisi,  l'esposizione ha fatto conoscere uno dei pittori di maggior rilievo della Belle époque italiana.

Vittorio Corcos, pittore livornese formatosi prima all'Accademia di belle arti di Firenze e poi a Parigi, nella casa d'arte Goupil e nello studio del ritrattista Léon Bonnat, illustra i suoi dipinti in modo realistico, con una precisione nei particolari da far venire la pelle d'oca.

Gli oggetti sembrano veri, da aver voglia di toccarli, i suoi personaggi sembrano vivi, reali e la luce che dipinge nelle sue opere contribuisce in modo essenziale in questo.


Vittorio Corcos - Autoritratto (1913)

L'esposizione è un percorso all'interno della vita del pittore e ci mostra i luoghi e le persone che ha frequentato e con le quali ha avuto scambi di amicizia e lavorativi.
Troviamo ritratti di Giosuè Carducci, Ulvi Liegi, Silvestro Lega e molti altri noti personaggi che frequentarono il suo salotto fiorentino.



Vittorio Corcos - Ritratto di Giosuè Carducci

I suoi dipinti passano da ambientazioni toscane quali le spiagge e il mare di Castiglioncello e Forte dei Marmi ("La Famiglia Moschini" - 1910, "In lettura sul mare" -1910 ca.) ai giardini parigini ("Jeune femme se promenant au Bois de Boulogne" - 1883/85, "Ore tranquille" - 1885 ca.) dove mostra la vita moderna delle persone e soprattutto delle donne, quelle donne affascinanti come poteva essere il fascino dell'epoca, donne dallo sguardo languido ma, allo stesso tempo, forti, indipendenti, acculturate.



L'attrazione per questa stessa "prepotenza femminile" rimane nella sua pittura anche nel periodo successivo al soggiorno parigino, quando si stabilisce a Firenze.
Dipinge donne e bambini dai visi seri, concentrati nelle loro azioni ma addolciti dai particolari e dai colori dell'intero ritratto, dalla farfalla poggiata sulla spalla e il fiocco azzurro tra i riccioli biondi della piccola "Adriana" (1897), al chiarore e alla purezza della meravigliosa "La Parigina" (1897 ca.) per passare al ritratto che divenne l'opera più importante e conosciuta del pittore: "Sogni" (1896); ritratto di Elena Vecchi, figlia minore di Jack La Bolina, che mostra una donna disinvolta, quasi menefreghista, indipendente e cosciente della sua vita.




 

Da qui, Corcos diventa il pittore per eccellenza del ritratto femminile, sottolineando, attraverso i colori, tutti i panneggi e i movimenti dei vestiti che richiamano la pittura seicentesca.

Una bella mostra, organizzata in modo eccellente, in una location splendida che ci ha immersi nella bellezza materica di questo pittore. 


marel



domenica 2 novembre 2014

LE DONNE DEL DIGIUNO contro la mafia

- per non dimenticare
- per celebrare
- per cambiare


Daniela Musumeci
 Fotografie di Francesco Francaviglia

Accanto all'entrata degli Uffizi c'è una chiesa sconsacrata che non sembra per niente una chiesa. Questo posto, dove sono esposti affreschi di Andrea Del Castagno, dipinti di Renato Guttuso, sculture di Marino Marini, fino al 9 novembre 2014, ospita una mostra fotografica, secondo me, meravigliosa.
Una mostra di ritratti, ritratti di donne ma non donne qualsiasi.
Sono donne ribelli, quelle che nel 1992 scioperarono, in modo silenzioso, per farsi sentire dal "marcio" e da chi quel marcio non è stato, tutt'ora, in grado di combatterlo…


Rosanna Pirajno
Letizia Ferrugia


Era il 1992, avevo 12 anni e di quel giorno ricordo solo tanto silenzio, dal nulla, un silenzio pesante, opprimente intorno, un silenzio che probabilmente stava sentendo tutta l'isola; 3 minuti dopo i TG straordinari annunciavano la strage di Capaci e solo 2 mesi dopo un'automobile esplodeva a Palermo, in via D'Amelio.
Morivano, oltre alle scorte di uomini valorosi, 2 uomini capaci di lottare contro un cancro che, purtroppo, ancora oggi e in svariati modi, corrode la Sicilia e l'Italia intera.

A Palermo nacquero associazioni, coordinamenti e proteste, tra cui questa di Piazza Castelnuovo, fatta dalle donne ritratte nelle foto.
A turno, a tre a tre, digiunarono per tre giorni, contro la mafia e contro chi, pur conoscendo i rischi, non aveva trovato il modo di evitare il peggio. Volevano dimostrare il desiderio di verità sperando in una società, in una Palermo, in uno STATO migliore… la loro era FAME DI GIUSTIZIA.


Daniela Dioguardi
 22 anni dopo, quelle donne si sono ritrovate davanti l'obiettivo di Francesco Francaviglia per ricordare la forza simbolica di quel gesto.
Sono quelle donne forti e coraggiose che si sono schierate a viso aperto contro la criminalità, che non hanno avuto paura e hanno lottato, come gli era possibile, contro l'omertà e, passatemela, lo schifo che regnava in quel periodo.

 


Dora Ruvolo
Francesca Traina

Ogni volto, adesso solcato dalle rughe, mostra, oltre ad un dolore intrinseco, tanta fierezza, forza e audacia, la stessa che hanno avuto 22 anni fa, sono donne che non sono cambiate dentro, che sfidano ogni giorno la paura e il triste ricordo, purtroppo ancora enigmatico, che avvolge quei giorni… perché dopo tutto questo tempo, la verità su quelle stragi, non è ancora saltata fuori…

marel












mercoledì 30 aprile 2014

Jackson Pollock, la figura della furia


- per la contrapposizione degli stili
- per un Pollock che non conosciamo
- Perché un anniversario va "festeggiato"



Chi pensa ad una mostra di Jackson Pollock, generalmente non immagina opere piccole dove lo spazio e le forme sono contenute, bensì opere di grandi dimensioni, piene di colore, fatte senza cavalletto né pennelli, quelle tele che appoggiate al pavimento lo riempiono e attorno alle quali l'artista gira per "entrarci" ed esprimere tutta la sua forza.
Questo è il Pollock che conosciamo, l'americano che dipinge con la tecnica del dripping (sgocciolatura) utilizzando bastoncini, cazzuole, smalti e impasti materici, l'artista che mette alla base di ogni opera impulso e istinto.



La mostra, a cura di Sergio Risaliti  e Francesca Campana Comparini, è strutturata in due sezioni ed esprime la furia nelle sue forme e nei suoi colori. Quello che vediamo nella suggestiva Sala dei Gigli, però, è il "secondo" Pollock.

Ma per quale logica e per quale motivo questo artista così moderno viene ospitato in un palazzo rinascimentale?
La risposta la troviamo nella sua formazione: Michelangelo!
La mostra, infatti, fa parte di un progetto di iniziative culturali dedicato al 450° anniversario della morte del Buonarroti.

Il "primo" Pollock, quello che pochi conoscono, ha studiato le forme e la "forza" sui corpi disegnati dal Maestro.



Questa selezione di disegni, realizzati da Pollock durante gli anni della formazione presso l’Art Students League di New York e conservati presso il Metropolitan Museum di New York, ci permette di conoscere la mano e lo stile dell'artista, del quale sono famose al pubblico solo le "macchie di colore", prima dell'evoluzione.
La sua preparazione artistica ha una base figurativa che viene abbandonata e sostituita con la tecnica del dripping, dell'antifigurativo e dell'astrattismo nel momento in cui istinto e genio prendono vita nella sua pittura e l'uso della mano diventa uso del corpo al completo.




Le opere esposte non sono molte ma permettono allo spettatore di farsi un'idea del processo evolutivo dell'artista, che venga compreso e apprezzato o meno!

Dove? Firenze, Palazzo Vecchio, fino al 27 luglio 2014.


marel

domenica 23 marzo 2014

Prato Dorata Stampa-finale di Valentina Baroncelli

-Per il fascino della EX-TYPO;
-Per la bellezza delle opere esposte;
-Per l'importanza di queste iniziative per un rinascimento culturale, oltre che industriale;

Cosa c'è di più adatto di una vecchia tipografia dismessa come location per una mostra di incisioni con soggetto le vecchie fabbriche pratesi?

La tipografia è quella in via dei Tintori 12 a Prato, la Ex Tipolito Artestampa, chiusa e abbandonata, che viene riaperta come spazio espositivo per questa mostra; inaugurata il 22 marzo, proseguirà fino al 26 aprile. L'ambiente è austero e grigio, niente è stato cambiato, poco è stato toccato dalla chiusura della tipografia, eppure tutto ha un suo fascino, si può ancora percepire il lavoro svolto in quell'ambiente, il mondo tipografico è la via di mezzo tra l'eleganza dell'arte e il naturale sporco dell'industria, tra grafica, incisione e stampa. Il tutto accompagnato dalla musica di Monoki e l'arte visual di Hamaranta.



Il lavoro di Valentina Baroncelli parte, come spiega nel catalogo Monia Nannini, da fotografie fatte dall'artista in momenti precisi della giornata a paesaggi industriali abbandonati, vecchie fabbriche e capannoni. Poi il lavoro passa all'incisione delle lastre e ad una successiva lenta lavorazione di stampa  in acquaforte, acquatinta e ceramolle. Un lavoro manuale, non industriale come quella della tipografia dove l'artista espone.

Nelle incisioni vengono rappresentati i luoghi di un futuro dorato della città di Prato, luoghi abbandonati che attendono, forse da troppo tempo, un riutilizzo dello spazio, come quello della tipografia. Il tratto delle incisioni non è però malinconico a ricordare un tempo che fu, è più una mano sincera, dura e poetica. Quasi più a vedere la bellezza di un presente che la tristezza di un passato, che forse più non tornerà.


MG.

domenica 2 dicembre 2012

L’arte degli anni 30 oltre il Fascismo a Palazzo Strozzi.



-Il futurismo;
-Tutto quello che è oltre al futurismo: Donghi, Sironi, Thayaht e Crali.
-Il design anni 30.


Palazzo Strozzi ha sempre un’attività di mostre molto interessanti, coadiuvate a quelle organizzate al piano inferiore del Palazzo, la cosidetta Strozzina. L’intento di questa mostra è di fare il punto della situazione sugli Anni 30 oltre al futurismo. Molte infatti sono le mostre su questo movimento artistico legato all’epopea Fascista e se pensiamo a quel periodo storico subito si pensa a Futurismo e affini in tutte le forme artistiche. La mostra non vuole negare o nascondere niente di questo movimento, anzi molte opere fanno parte del primo e secondo Futurismo, ma vuole al contrario esaltare quelle “battaglie di stili diversi” che imperversarono in un decennio non semplice (i sentori della guerra, il fascismo), ma artisticamente fervido.



Un periodo storico che aveva i suoi centri artistici nelle città italiane Milano, con Sironi, Martini e Carrà, Firenze con Soffici e Rosai, Roma, divisa tra classicismi e realismi di Donghi (bellissimi i suoi ritratti esposti usata come logo della mostra), Carena, Ceracchini e la Torino di Casorati. Un periodo storico che contrappone al futurismo, il chiarismo e l’arte “degenerata”, contraria al nazismo.



La mostra vuole inoltre mostrare il periodo nei media, nell’inizio delle comunicazioni di massa, della radio appoggiata dal Fascismo (“perché parlava anche a chi non sapeva leggere”) e l’importanza della musica in quel periodo, offrendo anche una retrospettiva sul design italiano con le sedie tubolarie e le lampade “Luminor”.




Il periodo di Fontana scultore (prima dei suoi famosi tagli), di De Chirico, ma anche di “Maramao perché sei morto”, della Venezia delle biennale e della Palermo di Guttuso. Un periodo sicuramente contrastante e su cui molto potremmo discutere, ma sicuramente non un periodo artisticamente morto.

MG.