giovedì 13 febbraio 2014

A proposito di Davis

-Se si è appassionati di Folk.
-Il Village della New York degli anni '60.
-La musica, parte centrale (fin troppo) del film.





L'ultimo film dei fratelli Coen è un chiaro omaggio alla musica Folk e al Greenwich Village, il quartiere di Manhattan famoso per la scena bohèmienne e la cultura alternativa.



Llewyn Davis (Oscar Isaac) è un bravo cantante chitarrista senza soldi nè fortuna, con ottime doti musicali, quanto di un pessimo carattere. La notte dorme sui divani o per terra, negli appartamenti dei suoi amici e suona in polverosi club. I suoi amici Jim (Justine Timberlake in una veste insolita di cantante folk) e Jean (Carey Mulligan) lo sopportano e in qualche modo cercano di aiutarlo trovandogli ingaggi musicali. Ma l'attitudine negativa di Davis non sembra portarlo da nessuna parte.



In effetti anche il film non va da nessuna parte ed è l'unico grande difetto: La trama.

Sembra che i fratelli Coen si siano concentrati sulle canzoni (eseguite sempre magistralmente), sulla fotografia, sulla ricostruzione del Village, sulla ruvidità dell'abbigliamento e sembra che abbiano dato poca importanza alla sceneggiatura (tra l'altro proprio dei fratelli Coen!). Il protagonista rimbalza da un personaggio all'altro, aprendo controversie e spunti narrativi e non ne chiude uno.



Anche le scene con il gatto potevano essere delle splendide metafore comunicative, invece rimangono ottimi esercizi visivi di cinema, ma inspiegabilmente vuoti.




Peccato, A proposito di Davis poteva essere un bellissimo film con pochi piccoli accorgimenti narrativi. Invece è soltanto uno splendido omaggio al mondo musicale di Bob Dylan, prima che usasse la chitarra elettrica.

MG.

mercoledì 12 febbraio 2014

The Wolf of Wall Street

- La follia di Scorsese
Il senso di onnipotenza di tutto il film
- La bravura e la spregiudicatezza di Di Caprio




La bravura di Leonardo Di Caprio non si smentisce mai!
Uomo capace di interpretare al meglio qualsiasi ruolo affidatogli, per l'ennesima volta ce lo dimostra in un nuovo film: The Wolf of Wall Street.
Con la regia di Martin Scorsese, è tratto dalla storia vera di Jordan Belfort , imprenditore e scrittore statunitense figlio di due commercialisti, che scala le vette del distretto finanziario di New York. 
Introdotto e catapultato fuori da Wall Street nel giro di un balzo, grazie al lunedì nero della borsa di NY, ricomincia la sua vita lavorativa partendo da zero, insieme ad un gruppo di "disgraziati", per lo più spacciatori, e arriva a fondare la  Stratton Oakmont,  società di brokeraggio che vendeva telefonicamente penny stock (titoli a basso costo), ingannando gli investitori e arricchendosi illegalmente alle loro spalle.




"L'anno in cui ho compiuto 26 anni ho guadagnato 49 milioni di dollari, il che mi ha fatto molto incazzare perchè con altri 3 arrivavo a un milione a settimana".

L'intento di Scorsese non è quello di fare un film sugli affari sporchi della finanza, come ha fatto Oliver Stone con i due "Wall Street" (tra l'altro il protagonista Gordon Gekko è citato da uno dei protagonisti del film). 

"ma perché vi annoio sul mondo della borsa americana?"

No, il mondo della finanza è solo lo sfondo di quello che è il vero focus del regista: droga, sesso e soldi. 
Il potere e la spregiudicatezza viene raccontata da Jordan Belfort guardando negli occhi gli spettatori, per spiegare l'uso smodato degli eccessi: cocaina, crack, marijuana e Quaaludes (un farmaco ritirato dal commercio usato come stupefacente), il sesso compulsivo e i tantissimi soldi fatti facilmente.





Tre ore di film che scorrono con un ritmo piacevole tra azioni e situazioni assurde ma estremamente reali, richiami leggeri a Tarantino e immoralità pura. Una commedia nera pronta a vomitare il grottesco, l'eccessivo e lo smisurato della vita quotidiana di questi personaggi immersi in ore lavorative tramutate in orge, drogaparty e divertimenti assurdi come il lancio dei nani.




Sesso, soldi e droga si mischiano continuamente nel film e rappresentano la follia che il protagonista e i suoi inquietanti soci/amici usano in tutti i modi possibili. Su questi elementi il regista non risparmia niente, con tanto di scene dettagliate che risaltano la folle gloria e la bellezza di Di Caprio. Una gloria destinata a decadere, ma non per questo meno affascinante.








Lusso e lussuria, follia e spregiudicatezza, demenza e decadenza. Sono queste le caratteristiche che Scorsese vuole risaltare per descrivere un modello di business che ancora oggi impera nel mondo del capitalismo? 
Il dubbio che rimane è quello di domandarsi fino a che punto il messaggio arrivi al pubblico. 

Di sicuro il film seduce come una rosa e colpisce come un pugno lo spettatore.


M.G. & marel

domenica 9 febbraio 2014

"Il Cammino di Santiago in taxi"


- Per farsi trascinare in un mondo "alternativo"
- Perché abbiamo aspettato tanto questo nuovo album
- La prova che il buon cantautorato italiano non è morto, anzi...


Brunori Sas, classe 1977, a distanza di 5 anni dal primo album, ha presentato, giovedì 6 febbraio 2014 alla Feltrinelli di Firenze, il suo nuovo lavoro discografico.



Dario, nome di battesimo del cantautore, in perfetto completo scuro, barba brizzolata e occhialoni d'ordinanza, ci racconta, tra un pezzo e l'altro (tra i quali è d'obbligo menzionare lo splendido unplugged de Le quattro volte), la genesi di questa sua ultima fatica: Vol.3 - Il cammino di Santiago in taxi.





Dal titolo semplice e dal sottotitolo stravagante, il disco è stato inciso all'interno di una chiesa (non sconsacrata!) di frati cappuccini immersa nella campagna calabrese, cercando di riportare nell'inciso la libertà e la forza del live.
La protagonista che ha ispirato il titolo è una sua compaesana che voleva andare a Santiago de Compostela, ma siccome aveva fretta e non voleva faticare fece il percorso in taxi; da qui l'ossimoro del titolo che sta proprio nella voglia di arrivare a qualcosa senza troppi sforzi: l'ansia e l'attesa non sono piacevoli, vogliamo tutto e subito, la lentezza non è certamente “roba moderna”; tra smartphone, notifiche via web ed e-mail non si ha più il tempo di fermarci ad assaporare la vita nella sua straordinaria semplicità...
Nascono così canzoni autobiografiche, come sempre ricche di immagini che rimandano ad una quotidianità fatta di variegati personaggi densi di progetti, sogni, delusioni e speranze, amore e difficoltà, il tutto condito da sonorità che ricordano tempi ed atmosfere lontane, narrate dalla voce roca e romantica di questo bravo artista italiano, non più così indipendente, come dimostra il secondo posto in classifica, “ma non è il primo”, come ironizza Brunori, affermando con marcato accento calabrese che “è nello spirito meridionale non mostrare la gioia e lamentarsi”(n.d.r).


Brunori SAS
Sabato 8 marzo 2014 alle ore 21.30
Auditorium Flog, Firenze

Nesh

mercoledì 5 febbraio 2014

Coez - Live al Viper.


- Hip-hop.
- Pop? Elettronica?!?
- La nuova musica italiana.

Se un paio di anni fa mi avessero chiesto "quali saranno i nuovi artisti emergenti interessanti nella scena musicale italiana" avrei risposto: Dente, Brunori Sas e I Gatti Mezzi. Se mi fate la stessa domanda adesso rispondo: Coez.

Coez non è un esordiente; rapper romano con la sua crew Brokenspeakers suona da anni sui palchi della scena hip-hop di tutta Italia. Poi qualcosa in lui cambia, come se l'hip-hop non gli bastasse più, come se cercasse nuove sonorità, nuovi spazi musicali. L'album "Non erano fiori" prodotto da Riccardo Senigallia (già produttore di Tiromancino e Luca Carboni) ne è la conferma.



Reduce da un concerto strapieno all'Atlantico di Roma con tutta la band, Coez si è presentato venerdì 31 gennaio in  formazione minimale, molto hip-hop: un mc e un deejay!

Il pubblico (in particolare quello femminile) conosce bene i brani di Coez, anche se non passano in airplay dalle radio nazionali. Dai pezzi più lenti come "Ali sporche" e "Lontana da me" a "Hangover" e "Invece No" che fanno saltare il pubblico, i ragazzi ballano, cantano e lo chiamano "SILVANOOO!". Sintomo che a volte youtube, spotify e qualche passaggio su MTV funzionano molto più delle blasonate major.




La sala non pienissima e il clima un po' minimale fanno si che il concerto non sia quella botta di energia che meriterebbe di avere. Coez rappa con stile e canta con altrettanta forza. Le parole dei suoi pezzi parlano di storie d'amore finite, di solitudine, di bicchieri pieni e svuotati ("E invece no" è la "Reahab" di Amy Winehouse in versione italiana) e sono scelte, sempre, molto accuratamente. La stoffa dell'artista c'è, forse ci vuole uno show più costruito a tavolino. Come per Brunori? ne riparliamo presto!



MG

sabato 11 gennaio 2014

Il giuoco al tempo di Caravaggio


- per scoprire l'arte
- per conoscere il Castello di Smilea
- per un pomeriggio in compagnia all'insegna di una buona azione


Si è conclusa il 6 gennaio 2014 la mostra "Il giuoco al tempo di Caravaggio".

Ospitata in una struttura prestigiosa del comune di montale come il Castello di Smilea, la manifestazione, a cura di Pierluigi Carofano, ha avuto come abiettivo la raccolta fondi per il fianziamento di progetti dell'Associazione "Un cuore un mondo" e della Fondazione dell'ospedale Mayer.

Le opere ospitate, "dipinti, giochi e testimonianze" che vanno dalla fine del 1500 agli inizi del 1700 ci hanno mostrato la parte ludica della vita dell'epoca illustrando personaggi intenti a praticare giochi di tutti i tipi, dalle bocce, ai dadi, agli scacchi, alle bolle e, attraverso le loro azioni e le ambientazioni abbiamo potuto percepire anche il loro umore. 

La mostra ha avuto inizio mostrandoci "Il baro", quadro realizzato dal laboratorio di Caravaggio e ha avuto seguito con altri dipinti in stile caravaggesco dando spazio a una piccola sezione dedicata a 2 artisti, Guido Reni e Bartolomeo Schedoni, che, a causa del vizio del gioco, non hanno avuto una vita semplice.
Nelle sale, oltre ai dipinti, abbiamo potuto ammirare anche giochi originali dell'epoca quali carte, tombola, biribissi (antenato della roulette) e gioco dell'oca.

Lucca, seconda metà del sec. XVII,
xilografia, mm 530×380,Bologna, coll. Silvio Berardi.

L'esposizione si è conclusa con 2 quadri di Nicolas Tournier che fanno da apertura/cornice a quella che era l'opera più importante: "Il baro", quello vero, attribuito a Caravaggio. 


Michelangelo Merisi da Caravaggio (Milano 1571 - Port’Ercole 1610) 
e collaboratore. Il baroc. 1596 olio su tela, cm 117×150,5 collezione privata

Il dipinto raffigura due ragazzi, di classe sociale diversa, che giocano a carte. 
Uno di loro, il baro, è rappresentato di spalle e permettere all'osservatore di notare l'azione irregolare al gioco, il ragazzo infatti prende le carte dai vestiti ed è in combutta col terzo personaggio dell'opera che spia le carte dell'avversario. 
Quest'opera è il simbolo dell'imbroglio.

Ottima organizzazione dell'evento con il contributo delle ragazze dell'Associazione ArteMìa, un'associazione di Promozione Sociale Pratese, che hanno aiutato i cittadini a conoscere ed immergersi nel mondo dell'arte.


marel

mercoledì 13 novembre 2013

Questo matrimonio non s'ha da fare.

-Per ridere dei toscani e in toscano.
-Per il fine benefico dello spettacolo.
-Per la bellezza del teatro in vernacolo.

Il teatro in vernacolo fiorentino è un genere teatrale tuttora vivo e con una sua dignità drammaturgica. Esistono tante piccole compagnie formate da attori professionisti e semplici amatori che, in teatri piccoli e grandi, a volte in circoli e sale parrocchiali, recitano la commedia toscana con l'unico scopo di divertire e divertirsi.



A Prato, una di queste compagnie, i Gatti Bigi, hanno recitato al Teatro Kolosseum di San Giusto, "Questo matrimonio non s'ha da fare": spettacolo di Dory Cei con l'adattamento di Piera Pugliese. I preparativi per le nozze in casa Fortunato diventono una complicata commedia di equivoci e complicazioni. Il sogno della sposa, Albarosa, fatto la notte prima delle nozze, diventa infatti un presagio nefasto a cui seguono una serie di imprevisti degni di una tragedia... greca? No, fiorentina, ovviamente!


Lo spettacolo ha il grande pregio di essere divertente senza mai scadere in volgarità e cercare la facile battuta offensiva, il tutto in una coralità e diversità di personaggi notevole. Dalla classica litigata tra il marito e la petulante moglie, all'intellettuale parruchiere che cita le "Idi di Marzo" di Giulio Cesere, alla irremovibile "fimmina" siciliana, fino alla cameriera con la battuta sempre pronta.


Le risate del pubblico sono copiose e, al divertimento viene legato l'impegno degli attori. L'incasso delle quattro serate sono state devolute in beneficenza alla Fratres di Agliana e all'associazione per i ragazzi dislessici AID di Prato e lo spettacolo avrà una replica il 7 dicembre, fuori dalla Toscana, a Vasto, questa volta in favore del Progetto "RicorDonatella" per la pet-therapy nelle scuole di Vasto.


MG
(fonte foto Pagina Facebook Gatti Bigi )

sabato 14 settembre 2013

Officina Pratese: Da Donatello a Lippi.

-Per vedere Palazzo Pretorio ristrutturato;
-Per conoscere il Rinascimento Pratese;
-Perchè non solo d'industria può vivere una città;



Riapre dopo quindici (troppi) anni il palazzo più centrale e in vista di tutta Prato, Palazzo Pretorio in Piazza del Comune. Riapre con una mostra, che senza esagerare, è la più bella che sia mai fatta nella piccola provincia toscana.

I presupposti c'erano tutti. Mesi fa quando sono apparsi i primi cartelloni pubblicitari e il sito internet, avevano una grafica pulita e ben curata, opera dello studio grafico Rovaiweber Design. Poi è seguita una prima apertura del museo per ospitare le statue di Jacques Lipchitz (una è attualmente fuori del museo), ed è stata una gustosa anticipazione delle stanze restaurate del palazzo.


La fila per entrare la prima sera è la testimonianza che la città è curiosa e attende eventi di cultura come questo. Il palazzo è formidabile: Se da fuori e nelle mura è rimasto il duro palazzo duecentesco, all'interno oltre agli affreschi restaurati (superbo quello all'entrata raffigurante Dagomari, Santo Stefano, San Giovanni e Datini), gli spazi espositivi, le scale, donano un'immagine del museo moderna ma essenziale, semplice e di ampio respiro. In questo modo, le opere esposte hanno lo spazio necessario per essere ammirate con una luce giusta, nella loro bellezza. Anche i quadri e le pale più grosse non sono soffocate, come troppo spesso succede anche in importanti e blasonati musei.

L'organizzazione della mostra e la scelta delle opere sono impeccabili. Si inizia con Donatello, famoso in città per aver realizzato (insieme a Michelozzo) il pulpito del Duomo. Per arrivare all'appassionante storia di Filippo Lippi, un frate che mentre lavorava a Prato su la tavola della "Madonna della Cintola",  s'innamora della sua modella, la monaca pratese Lucrezia Buti e  la rapisce durante la processione della Sacra Cintola. A loro discolpa va detto che furono entrambi vittime di monacazione forzate.
L'esposizione continua con stupendi quadri di pittori considerati minori come Zanobi Strozzi e Fra Diamante, il principale collaboratore di Filippo Lippi. Proprio da Fra Diamante prima e da Botticelli poi, cresce artisticamente Filippino Lippi, figlio di Filippo, a cui è dedicata la parte finale della mostra con, tra le altre opere, la Madonna esposta nel tabernacolo in Piazza Mercatale, andato distrutto durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale e restaurato da un pratese di Vainella - Figline, Leonetto Tintori.


Come detto sopra, il maggior pregio della mostra (che Sgarbi ha definito "una delle più belle mostre viste negli ultimi anni" ) oltre a quello dell'esposizione con luci e sfondi adatti, è la scelta delle opere prese in prestito da collezioni private di tutto il mondo. Dalla "Natività con San Girolamo, Santa Maria Maddalena e Sant'Eustachio" di Paolo Uccello conservate a Karlsruhe, alla "Madonna col Bambino" di Filippo Lippi al National Gallery of Art di Washington, alle pale e formelle divise e per rara occasione ricostruite: una per tutte la Pala di Faltugnano del Maestro della Natività di Castello, divisa tra Londra e Philadelphia.



Una passeggiata emozionante tra statue di Della Robbia e di Matteo Civitali, tra enormi candelabri del Duomo di Prato e del Duomo di Pistoia di Maso Di Bartolomeo. Una visita obbligatoria per i pratesi che devono riscoprire con orgoglio la cultura della propria città e di chi deve conoscere Prato come non solo la città dei cinesi e sorella povera di Firenze.

MG.