lunedì 19 marzo 2018

The Shape of Water


• Per la storia d’amore fantasy
• Per la colonna sonora
• Per la denuncia della società conformista americana degli anni 50




L’uomo e il mondo marino, una storia d’amore tra diversi, la bellezza e il mistero del mondo fantasy, l’orrore e il forzato conformismo; questi sono i leitmotiv di Shape of Water, vincitore del Leone d’oro al Festival del Cinema di Venezia e che si è aggiudicato quattro Premi Oscar, su tredici candidature ricevute, per il miglior film, il miglior regista, la migliore scenografia e la migliore colonna sonora.

Siamo in piena Guerra Fredda, nella Baltimora della metà degli anni cinquanta. In un laboratorio scientifico lavorano come donne delle pulizie Elisa (Sally Hawkins) e l’afroamericana Zelda (Octavia Spencer). Elisa non parla, è diventata muta in seguito all’asportazione delle corde vocali, episodio traumatico della sua infanzia di cui porta i segni visibili sul collo.


Il colonnello Strickland (Michael Shannon) porta all’interno del suddetto laboratorio un anfibio dalle sembianze antropomorfe per poterlo studiare e per utilizzarlo contro i russi. Il dottor Hoffstetler (Michael Stuhlbarg), spia russa, lavora nel laboratorio e cerca di scoprire le potenzialità dell’anfibio che sembra primeggiare per resistenza e fisicità ad un normale essere umano.

Elisa è una donna solitaria, la cui vita è scandita dal lavoro e dalle chiacchere con il vicino di casa Giles (Richard Jenkins), artista omosessuale e discriminato sul lavoro che parla il linguaggio dei segni e con il quale ha un dialogo aperto. Per molti tratti il loro rapporto ricorda quello di Nino e Amelie ne Il Favoloso Mondo di Amelie, per l’eccentricità e l’oniricità dei dialoghi, per lo sguardo delicatamente spensierato e di spessore di Elisa.

Elisa incontra per caso l’anfibio e riesce a stabilirci una comunicazione nonostante le diversità e le vasche criogeniche che lo tengono prigioniero. Di nascosto, in un silenzio asettico ma accompagnato dolcemente dalla musica dei vinili che Elisa sceglie con cura per i loro brevi incontri, la donna si innamorerà della creatura, fino a quando l’anfibio torturato e ferito, sta per essere ucciso. Elisa prende allora la pericolosa decisione di farlo fuggire e di liberarlo nell’Oceano, ma il dispotico Strickland indaga e si mette sulle sue tracce.



Questa pellicola parla di amore ma anche di relitti, di emarginati: emarginata è Elisa per il suo forzato mutismo, l’anfibio per la sua mostruosità, per la natura apparentemente pericolosa. Relitto è Zelda, con la sua pelle nera che combatte per poter “essere” sia nella società che a casa, dove la aspetta un marito che non si alza mai dal divano. Relitto è Giles che deve nascondere la sua omosessualità e lo stesso colonello che per adattarsi al conformismo americano, al benpensare borghese, per provare il suo valore, per assicurarsi una vita migliore e lontana da Baltimora, non può fallire e deve ritrovare a tutti i costi la creatura scomparsa.


Del Toro in questa pellicola si schiera a favore del diverso, marcandone le debolezze che si svelano essere in realtà i punti di forza dei personaggi, tutti antagonisti dello spietato Strickland, l’unica vera bestia del film.

La fotografia predilige una scelta cromatica a tinte blu: l’elemento predominante è lo scuro, la notte, l’acqua in cui si sviluppa tutto il lato poetico e visionario della trama.

Le musiche, di uno straordinario Alexandre Desplat, sono oltremodo calzanti: si alternano momenti di oniricità, di gioco, a silenzi opprimenti e carichi di tensione, al suono liquido dell’acqua dove tutto è ovattato e lontano ma dove anche la pulsione sessuale è libera della gravezza metaforica, dove l’immaginario mitologico si scontra con il marciume della società moderna.

“Noi non siamo niente se non facciamo niente” da Shape of Water.

Voto: 6,5/10

Ca. Mo.



giovedì 11 maggio 2017

La Paranza dei Bambini


  • Per chiunque abbia amato Gomorra; 
  • Per conoscere una realtà attuale poco raccontata dai media;
  • Per la competenza sull’argomento di Roberto Saviano;



La nuova giovane, giovanissima criminalità è la protagonista del l'ultimo libro di Roberto Saviano "La Paranza dei Bambini".




Bambini che crescono in fretta, che provengono da famiglie medio borghesi o figli di criminali, che velocemente imparano che nella vita o si fotte o si viene fottuti, carnefici o vittime.

Maraja, Dentino, O'Briato', Drone... proprio come in Gomorra anche questi personaggi hanno soprannomi curiosi dati dalla città che li ha cresciuti Napoli e in particolar modo Forcella.

I giovani criminali viaggiano veloci su scooter per i vicoli del centro, sparano, spacciano e organizzano le "piazze". Come i loro coetanei utilizzano i social network come Facebook, Instagram e Snapchat, si scambiano i messaggi su whatsapp, ma a differenza di questi hanno un "covo" dove ritrovarsi, fare i patti di sangue ispirati a "Il Camorrista" di Tornatore, tengono "armi e palle", seguono la filosofia de Il Principe di Machiavelli, discutono di Isis e ne invidiano la forza e si inspirano a Walter White di Breaking Bad.

La paranza dei bambini è un libro crudo, schietto e ruvido. Spesso è come un sasso difficile da ingoiare, bagnato di un'illogica crudele normalità.
Una normalità fatta di tatuaggi, sangue, violenza, una quotidianità terribile dove mancano la paura del carcere e della morte.

Il libro scorre bene nonostante la durezza, ma a tratti sembra un po' perdersi nelle descrizioni troppo veloci o in rapporti tra alcuni personaggi che scompaiano. Mancano dettagli importanti sulle famiglie che sembrano solo dei "generici di scena" e della scuola. Le istituzioni in generale in questo libro sono totalmente inesistenti.

La morte scorre nelle pagine, come la pesca a strascico fatta di uccisioni casuali, da cui il libro prende il nome. Non è il miglior libro di Saviano, ma sicuramente è il più attuale.


M.G.

martedì 17 gennaio 2017

Dalí - Il Sogno del Classico




  • Vedere uno degli artisti cardini del Novecento
  • Per conoscere un Dalí ispirato all’arte classica
  • Genio, follia, scienza, classicismo… serve altro?




Salvador Dalí era uno dei maestri dell’arte del secolo scorso. Polifunzionale, sovrapproduttivo e ipereclettico, l’opera di Dalì è difficilmente inquadrabile in definizioni univoche e punti di vista assoluti. I punti di vista il pittore li ribaltava continuamente, scartava le soluzioni più ovvie e amava mescolare gli stili. Legato al figurativo, era amante dell'astratto, quello connesso alla metafisica e al suo metodo paranoico-critico che scomponeva le sue opere in atomi.


La mostra di Dalí a Palazzo Blu di Pisa, organizzata con la collaborazione della Fundación Gala-Salvador Dalí e MondoMostre è stata prorogata fino al 19 Febbraio 2017.
L'esposizione, a cura di Montse Aguer i Teixidor, direttrice del Centre Estudis Dalinians della Fundación Gala-Salvador Dalí, mostra una visione insolita e spesso trascurata da rassegne più grandi: l'ispirazione Classica del Rinascimento e dell'arte Italiana in generale.

Il pittore spagnolo amava l'Italia, lo dimostrano i suoi ripetuti viaggi nella nostra nazione, Dalí studia Michelangelo, Raffaello e Benvenuto Cellini.
La Poligrafica di Stato Italiana commissiona a Dalí di illustrare un'edizione della Divina Commedia. Paradiso, Purgatorio e Inferno diventano sotto le mani dell'artista, magnifici acquerelli Surrealisti. Peccato che dopo le critiche sulla nazionalità spagnola dell'illustratore, la Poligrafica non ha mai stampato questa edizione.



Nella mostra si possono ritrovare opere di Michelangelo come la Pietà, il Mosè e la tomba di Giuliano de'Medici, reinterpretate, decostruite e messe in un contesto metafisico tipico della pittura spagnola di Dalì. Un vortice di richiami che mescolano i soggetti dell'arte antica con lo studio e l'inspirazione scientifica, come le bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki e la fisica quantistica di cui leggeva voracemente tomi su tomi.

Trova posto nelle sale del Palazzo Blu anche un'altra serie di illustrazioni commissionata al "pintòr", l'autobiografia di Benvenuto Cellini che diventano piccoli quadri visionari e onirici.


Casto sessualmente nella vita, provocatore nelle sue opere, Salvador Dalì viene ben raccontato se non completamente attraverso i quadri, con un'ottima esposizione di dascalie, filmati e informazioni ipertestuali.

M.G.

mercoledì 19 ottobre 2016

Io Prima di Te


  • per riflettere su un argomento delicato
  • per sensibilizzare su un problema poco conosciuto
  • pela bravura di Emilia Clarke fuori dalla serie del Trono di Spade




Uscito al cinema l'1 settembre del 2016, in una sola settimana, "Io prima di te" è diventato campione d'incassi.

Tratto dall'omonimo romanzo di Jojo Moyes, il film di Thea Sharrock esprime tutta la bellezza che può esserci nelle piccole cose, nei piccoli gesti, nella forza dell'amore anche quando la vita non è come la vorremmo.


Argomenti delicati, la tetraplegia e la scelta dell'eutanasia, sono affrontati quasi con leggerezza; da non fraintendere le mie parole, leggerezza nel senso che sono ancora argomenti quasi "tabù" nel nostro paese, argomenti di cui si parla poco e che il film sembra rendere più "semplici" di quello che sono in realtà.

Will Traynor, interpretato da un bravo Sam Claflin, intraprendente, bello, giovane e soprattutto deciso nelle sue scelte, si ritrova fermo dal collo in giù su una sedia a rotelle. 


Will, ha con se una cerchia di persone che lo seguono e rendono la sua vita quasi normale (per quanto possa essere reso normale il senso di "normale" per una persona che non può più fare nulla).

Tra queste persone, c'è Lou.

Louisa Clark, interpretata da Emilia Clarke, 26enne estrosa e sognatrice, assunta dalla madre di Will (Camilla Traynor - Janet McTeer) dona a quest'uomo gioie e sorrisi fino al termine dei suoi giorni. 


Un cast di personaggi che ricordiamo soprattutto per altri film, da Matthew Lewis (Patrick, fidanzato di Lou) di Harry Potter, a Emilia Clarke, Daenerys Targaryen, la "Madre dei Draghi", a Charles Dance (Steven Traynor - padre di Will) Twyn Lannister, nel Trono di Spade. 
Eppure, questi personaggi ai quali, probabilmente, associamo il ruolo di cattivi e senza scrupoli, qui sono affettuosi e sensibili e con una forza interiore da superare il dolore provocato da tutta la difficile situazione.  


Un film romantico. Una storia d'amore strappa lascrime dove il "e vissero tutti felici e contenti" è decisamente relativo e nella quale, ogni personaggio si ritrova ad avere una forza e un coraggio sconosciuto prima ma che li aiuta ad affrontare la vita e il tempo che rimane, nel migliore dei modi.
Un insegnamento per tutti.

marel

venerdì 30 settembre 2016

Alla ricerca di Dory


  • Perché è un film Pixar.
  • Perché è adatto a grandi e piccini.
  • Perché tratta di un tema difficilmente affrontato.




La pixar sforna un sequel, dopo 13 anni dal primo film d'animazione subacqueo su Nemo. Un'operazione non semplice perchè il primo film era autoconclusivo e non sembrava lasciare margini di storia, invece...

Invece la casa di produzione si Lasseter sposta il focus sul personaggio comprimario di "Alla ricerca di Nemo", facendolo diventare assoluto protagonista: Dory.


Dory è la pesciolina "svitatella" che aiuta l'ansioso padre di Nemo nell'avventura per ritrovare il figlio.
La storia dei comics e film è piena di personaggi "svitatelli", da Pippo, il compagno di Topolino, a Obelix, Groucho per Dylan Dog, fino ad arrivare a Sancho Panza, ma il matto era Don Chisciotte!

Il compagno buffo è da sempre un personaggio "must" di tante storie, strappa la risata, alleggerisce la storia e aiuta il protagonista. Qui il personaggio buffo è il protagonista.

Il colpo di genio della Pixar è quello di far diventare la goffa pesciolina la star e, allo stesso tempo, mettere in risalto la sua smemoratezza facendola diventare il cardine di tutta la storia.


"Soffro di amnesia a breve termine" è una delle frasi che Dory ripete sia nei flashback di quando è piccola, che da grande. 

Il doppio livello di lettura è quello di parlare di psicologia e malattie psichiatriche attraverso una storia apparentemente semplice, Dory deve ritrovare i genitori smarriti. Ma i genitori di Dory sono persi prima nella sua memoria e poi nella vastità dell'oceano.


Il film parla esattamente di questo, di memoria, di malattia, di panico e di accettazione della propria condizione (che da difetto diventa punto di forza), con la leggerezza tipica della Pixar. Una leggerezza che permette di far vedere il film ai bambini e far riflettere i genitori.

M.G.