giovedì 10 aprile 2014

Non buttiamoci giù

di Pascal Chaumeil

-Quel buon sapore di una storia inglese;
-Tratto da un libro di Nick Horby;
-L'interpretazione di Imogen Poots;

 
 
Premetto che non ho letto il libro di Nick Horby e non posso dire la fatidica frase "Si ma insomma, rispetto al libro che delusione!". Nick Horby è dagli anni '90 uno dei romanzieri inglesi più utilizzati dal cinema, basti pensare a"About a boy", "È nata una star?", "Febbre a 90°" e "Alta Fedeltà". In questo caso lo scrittore inglese non ha partecipato alla sceneggiatura (e a detta di molti si sente), ma "Non buttiamoci giù" presenta diversi punti in comune, sopratutto rispetto  a "About a boy", in particolar modo al cinismo di Pierce Brosnan simile a quella di Nick Hornby.

Fine dei punti negativi, passiamo agli aspetti positivi.
Il film tratta due temi spigolosi con un'ironia e leggerezza difficile da trovare.
Il primo tema è quello della depressione. I quattro protagonisti si trovano infatti, all'inizio del film, sul tetto di un palazzo per suicidarsi, ognuno per un motivo differente. Sarà proprio la complicità nelle difficoltà ad unire le quattro personalità, fra di loro molto differenti, in una sorta di gioco di squadra leggero e allegro. Anzi la loro diversità sarà proprio il punto di forza nell'aiutarsi l'uno con l'altro.
Il secondo tema è quello della difficoltà per un parente di vivere una disabilità pesante e incurabile in famiglia. Il tema non è trattato con pietà o lacrimevole compassione ma, come tutto il film di Pascal Chaumeil, è la forza di reagire di fronte alle avversità, la vera mossa vincente dell'unione dei protagonisti.



Ciliegina sulla torta del film è la bravura dell'attrice inglese Imogen Poots, interprete della ricca e svitata ragazza londinese.
"Non buttiamoci giù" non sarà il film dell'anno, ma la pellicola lascia una buona sensazione all'accensione delle luci.

MG.

giovedì 3 aprile 2014

Seminari di Introduzione al Giornalismo - Comeana.

- Per l'interessante programma dei seminari;
- Per l'oppurtunità di parlare con chi lavora nei vari ambiti dell'informazione;
- Perchè... è gratis!





Si terranno nello Spazio Giovani in Piazza C. Battisti, 17/18 a Comeana (PO) i Seminari di Introduzione al giornalismo.

Gli incontri  per conoscere i segreti del giornalismo saranno svolti da docenti scelti tra giovani professionisti del settore attivi sul territorio. Saranno in tutto 6 incontri e avranno luogo il venerdì dalle ore 18.00 alle 19.30.

I seminari si baseranno quindi sulla esperienza lavorativa quotidiana, dei relatori partecipanti, che daranno un approccio fresco e una prospettiva concreta su i primi passi da fare per entrare nel mondo del giornalismo.

Questi gli argomenti e le date degli incontri:

- 11/04/2014 Aspetto redazionale: scelte e programmazione per costruire una rivista partendo dal teatro   l'esperienza del bimestrale “L'altra città”. Relatore: Massimo Bonechi – Regista / ex- responsabile della rivista mensile “L'Altra Città”.
- 18/04/2014 Confezionare un servizio giornalistico: l’abc della realizzazione di un servizio. Relatore: Tommaso Artioli – Il Tirreno e blogger per Kalporz
- 9/05/2014 Fotografia: gli scatti giusti per blog & Co. Relatore: Marco Giani – blogger per TreMotivi e fotografo
- 16/05/2014 Scrittura giornalistica: le tecniche e i metodi per scrivere. Relatore: Lucia Pecorario – TVPrato.
- 23/05/2014 Come nasce una notizia: capire da dove si parte per scrivere un articolo e raccontare una storia. Relatore: Alessandro Pattume – Pratosfera.
- 30/05/ 2014 Grafica per blogger: imparare un metodo di lavoro per gestire un blog. Relatore: Vincenzo Merluzzo – Formatore Multimediale.




I seminari sono gratuiti, per informazioni contattare:

Spazio Giovani
055 8716213 Martedì - mercoledì - giovedì - venerdì dalle 15.00 alle 19.00
Piazza C. Battisti, 17/18 (Comeana) - 59100 Carmignano (PO)
lisa.biancalani@panerosecoop.it
gbianchi@comune.carmignano.po.it

MG

domenica 23 marzo 2014

Prato Dorata Stampa-finale di Valentina Baroncelli

-Per il fascino della EX-TYPO;
-Per la bellezza delle opere esposte;
-Per l'importanza di queste iniziative per un rinascimento culturale, oltre che industriale;

Cosa c'è di più adatto di una vecchia tipografia dismessa come location per una mostra di incisioni con soggetto le vecchie fabbriche pratesi?

La tipografia è quella in via dei Tintori 12 a Prato, la Ex Tipolito Artestampa, chiusa e abbandonata, che viene riaperta come spazio espositivo per questa mostra; inaugurata il 22 marzo, proseguirà fino al 26 aprile. L'ambiente è austero e grigio, niente è stato cambiato, poco è stato toccato dalla chiusura della tipografia, eppure tutto ha un suo fascino, si può ancora percepire il lavoro svolto in quell'ambiente, il mondo tipografico è la via di mezzo tra l'eleganza dell'arte e il naturale sporco dell'industria, tra grafica, incisione e stampa. Il tutto accompagnato dalla musica di Monoki e l'arte visual di Hamaranta.



Il lavoro di Valentina Baroncelli parte, come spiega nel catalogo Monia Nannini, da fotografie fatte dall'artista in momenti precisi della giornata a paesaggi industriali abbandonati, vecchie fabbriche e capannoni. Poi il lavoro passa all'incisione delle lastre e ad una successiva lenta lavorazione di stampa  in acquaforte, acquatinta e ceramolle. Un lavoro manuale, non industriale come quella della tipografia dove l'artista espone.

Nelle incisioni vengono rappresentati i luoghi di un futuro dorato della città di Prato, luoghi abbandonati che attendono, forse da troppo tempo, un riutilizzo dello spazio, come quello della tipografia. Il tratto delle incisioni non è però malinconico a ricordare un tempo che fu, è più una mano sincera, dura e poetica. Quasi più a vedere la bellezza di un presente che la tristezza di un passato, che forse più non tornerà.


MG.

martedì 18 marzo 2014

QUESTIONI DI FAMIGLIA - Vivere e rappresentare la famiglia oggi

-Per una visione contemporanea del concetto di Famiglia;
-Per uscire dalla mostra con sensazioni nuove;
-Perchè "Tutte le famiglie felici sono simili le une alle altre; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo". Lev Tolstoj. Anna Karenina. 


Artisti: Guy Ben-Ner, Sophie Calle, Jim Campbell, John Clang, Nan Goldin, Courtney Kessel, Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, Trish Morrissey, Hans Op de Beeck, Chrischa Oswald, Thomas Struth.

La Strozzina, Centro di Cultura Contemporanea di Palazzo Strozzi a Firenze, è una delle realtà espositive più interessanti sull'arte contemporanea in Toscana. Ogni mostra elabora un tema, affidandolo a una serie di artisti che lo interpretano con installazioni, video e fotografie.

La mostra "QUESTIONI DI FAMIGLIA - Vivere e rappresentare la famiglia oggi" inaugurata il 13 Marzo è una riflessione sulle dinamiche parentali, sui suoi lati nascosti, sul "non detto" dei nuclei familiari.

Gli artisti internazionali decostruiscono o amplificano il concetto di famiglia, concentrando il focus sui rapporti, sui problemi, sulle distanze geografiche o psicologiche e affrontando temi non semplici da accettare in ambiti familiari come le separazioni, la morte e il sesso.



Il fotografo tedesco Thomas Struth ritrae le famiglie all'interno delle proprie case nella serie Familienben con la dichiarazione che la "La propria famiglia non è qualcosa che si può scegliere", mentre Hans Op de Beeck decostruisce le famiglie in video fuori fuoco, togliendo tutti i riferimenti culturali e sociologici, vestendo i protagonisti di bianco e inserendo degli "assistenti di produzione" vestiti di nero.


Gli italiani Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini nell'installazione "Ecco il guaio delle famiglie. Come odiosi dottori sapevano esattamente dove facevano male" ricreano un'austera casa con mobili vintage che richiamano un tempo passato e spesso una frattura (sia psicologica che fisica - quella dei piatti sulla tavola). La narrazione avviene in questo caso attraverso un giradischi, un telefono che squilla e una radio, che raccontano momenti autobiografici cupi, confessioni familiari come piccoli frammenti di una buia scenografia.




Più ironica è la visione della fotografa Trish Morrissey, che si sostituisce alle madri nei ritratti di famiglie al mare. Prendendo il posto delle donne come un'intrusa, l'artista ne assume le sembianze con vestiti e acconciature di chi prende il posto e lasciando un velo impercettibile di perplessità negli altri familiari.

Alcune opere spiazzano o infastidiscono chi le guarda, come i video di Chrischa Oswald "Mother Tongue" (giocando sul concetto di "Lingua Madre / Madre Lingua / Lingua della Madre" che ritraggono madre e figlia che si leccano il viso: un gesto di affetto nel regno animale, antigenico nel mondo degli uomini.

Le opere realizzate da John Clang sono piccoli capolavori. Fotografie realizzate con famiglie separate, una parte della famiglia è fisicamente nella propria stanza, l'altra è proiettata su muro via Skype. Un tema molto sentito quella della lontanza geografica/vicinanza comunicativa, attraverso l'uso dei nuovi media.


Una mostra nel complesso che può stupire, mettere ansia o infastidire a seconda del trascorso familiare di chi fruisce l'opera. Ma in fondo creare sensazioni, positive o negativa, non è uno dei compiti fondamentali dell'Arte?

MG.

sabato 8 marzo 2014

Monuments Men

- Perché l'arte è parte della storia di un popolo
- Per la bellezza di una storia vera
- Perché l'emozione che da un'opera d'arte non può darla nessuno

 


Basato su una storia vera, questo film, con la regia di George Clooney, racconta di 7 uomini americani, tutti esperti d'arte, assoldati durante la seconda guerra mondiale per salvare le opere d'arte che i nazisti trafugavano e restituirle ai legittimi proprietari.
Una missione che fa onore a questi ultimi se non fosse che, in realtà, per compierla, proprio loro hanno distrutto opere architettoniche che, probabilmente oggi sarebbero l'ennesima attrattiva europea.

Una missione compiuta per salvare la storia, la nostra storia, quella che oggi ci permette di sapere chi siamo e che Hitler avrebbe voluto cancellare con la sua caduta.
Il progetto del Führer, fortunatamente fallito, era quello di costruire un mega museo (Führer museum) e riempirlo con tutte le opere d'arte degli artisti più importanti mai esistiti, un'unica attrattiva nella sua Germania ideale.




Un bel principio quello di rischiare la propria vita e morire per l'arte, un principio che al giorno d'oggi ci fa pensare parecchio, un pensiero riferito all'Italia e a quello che sta succedendo alla cultura - solo l'idea che si possa cancellare la storia dell'arte nelle scuole significherebbe cancellare la nostra storia - creando ignoranza e superficialità.

Un cast di uomini ben assortito ad interpretare "eroi" che probabilemente avrebbero dovuto avere più spazio (George Clooney, Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Jean Dujardin, Bob Balaban, Dimitri Leonidas) con un unico personaggio femminile, una brava e austera Cate Blanchett (Claire Simone), curatore museale a Parigi, che fornisce un importante aiuto a Matt Damon (James Granger) (e ai monuments man) nel ritrovamento e la ricatalogazione delle opere trafugate.

Un film che, "nonostante la guerra" risulta leggero a tratti simpatico, romantico e nostalgico e probabilmente, per tutto quello che ci sarebbe stato da raccontare, anche troppo breve.


Madonna di Bruges - Michelangelo
Dama con l'ermellino - Leonardo Da Vinci


marel

venerdì 28 febbraio 2014

Smetto quando voglio

-Una commedia italiana diversa
-I dialoghi e la trama
-Un buon esordio per un regista



L'opera prima del giovane regista italiano Sydney Sibilia è un film ironico e velatamente amaro che racconta, in maniera paradossale ma non troppo, il mondo dei ricercatori universitari nel nostro Belpaese.

Pietro (Edoardo Leo), tipico "bravo ragazzo", è un brillante ricercatore di neurobiologia che si trova, a causa dei tagli all'università, senza contratto di ricerca e senza quella misera paga da ricercatore che, a stenti, gli permette di andare avanti. L'umiliazione e la delusione lo costringono a raccontare una bugia alla sua compagna Giulia (Valeria Solarino): aver avuto il contratto a tempo indeterminato. 


Resosi conto di "come funziona fuori", decide di mettere in pratica i suoi studi e, con il suo amico e collega chimico Alberto (Stefano Fresi), realizzare una nuova "smart drug", la migliore del momento, purissima e non classificata dal Ministero della Salute.



I due assoldano altri amici/colleghi, ottime menti dell'università italiana costretti a far lavori sottopagati e non pertinenti ai loro studi, per mettere sù una banda atta allo spaccio nelle discoteche: due latinisti/benzinai (Valerio Aprea e Lorenzo Lavia), un economista coinvolto con un clan di zingari (Libero De Rienzo), un archeologo sottopagato dalla Sopraintendenza dei Beni Culturali (Paolo Calabresi) e un antropologo (Pietro Sermonti), disoccupato e in cerca di lavoro come manovale, costretto a mentire sulla sua laurea.
Proprio quest'ultimo fornisce uno degli spunti più interessanti di riflessione; durante il colloquio di lavoro, il suo "probabile futuro" titolare gli dice che non vuole assumere laureati e che ha già mandato via tanti come lui!
Ciò che fa riflettere è il fatto che, alla fine e al giorno d'oggi, puoi aver studiato quanto vuoi e quello che vuoi, puoi essere geniale e plurilaureato ma, per andare avanti, sei costretto ad accontentarti di qualsiasi cosa.







Il film si snoda in una trama ben costruita, a tratti tarantiniana e con riferimenti alla nota serie televisiva "Breaking Bad". I dialoghi ironici e accademici sono volutamente rindondanti ma mai banali e costituiscono il punto di forza della pellicola.




Il film è una versione al contrario dei "Soliti Ignoti" e ha un duplice messaggio: il classico "il crimine non paga" e che le migliori menti del paese (quando non sono invischiati in giochi politici e non emigrano) sono disoccupati.

Purtroppo, un'amara verità.


MG.

sabato 22 febbraio 2014

12 Anni Schiavo

- Per capire, anche se fa male.
- Per non dimenticare.
- Perché sai che non sono solo 12 anni.

Sei un negro eccezionale, e questo non ti porterà molto lontano.”





1841. Un giorno sei con la tua famiglia, nella tua città (Saratoga, NY), uno degli stati non schiavisti degli Stati Uniti; il giorno dopo sei solo perché tua moglie accetta un lavoro temporaneo lontano da casa. Tre settimane senza vederla, ce la farai? Sebbene sia una sfida difficile da superare per un marito innamorato, non sarà l’unica che dovrai affrontare. Senza che tu te ne accorga verrai ingannato attraverso un’illusione, ti drogheranno, ti imprigioneranno e ti venderanno come una bestia; ti cambieranno il nome, ti trasferiranno nel Sud schiavista e finirai la tua vita di uomo libero, forse.
Il film del regista inglese Steve McQueen, è il terzo in circa due anni (dopo “Lincoln” di Spielberg e “Django Unchained” di Tarantino) a confrontarsi col tema della schiavitù. Basandosi su una storia realmente accaduta, McQueen offre un ritratto crudo, forte e incredibilmente disumano dell’odissea personale di Solomon Northup, stimato violinista nero che si ritrova improvvisamente davanti alla cattiveria e prepotenza di quegli anni. Solomon passa da un padrone all’altro, di male in peggio, subisce umiliazioni infinite, viene punito per qualsiasi iniziativa personale ma affronta con dignità e coraggio la follia animale dei proprietari di schiavi, sempre più accecati dalla bramosia, dall’odio e dall’ignoranza. Sulla sua strada, che appare sempre più in salita, apparirà un altro uomo solo e libero, un 
viandante che permetterà a Salomon di non cedere all’odio ma di attendere il riscatto.






Umanità e fierezza sono infatti i sentimenti che l’attore protagonista Chiwetel Ejiofor riesce a trasmettere e a sostenere per l’intero film, in netto contrasto con la brutalità, a volte anche ridicolizzata, magistralmente resa da Michael Fassbender (Epps). Il piano sequenza scelto da McQueen per le scene più crude dà la sensazione della velocità, dell’irrazionalità delle azioni commesse e lascia nello spettatore un senso di empatia straziante che può portare cinicamente a contare le frustate inferte. Notevoli le interpretazioni delle attrici Lupita Nyong’o (Patsey) e Adepero Oduye (Eliza), le uniche voci con cui Solomon ha un sincero confronto.





L’intento di McQueen traspare timidamente tra le righe. Il trasferimento forzato verso i campi di lavoro del Sud a bordo di un battello stipato di uomini, donne e bambini; i nomi veri dimenticati e sostituiti dai nomi da schiavo; l’obbligo di assistere all’uccisione e alle tremende punizioni inferte ai compagni di lavoro. I passi pesanti che piombano di notte nelle camerate e la speranza che la follia di quel momento non si avventi su di te, i piaceri del potente da soddisfare perché sostiene di poter disporre di come vuole “con ciò che gli appartiene”, evocano eventi (e film) tristemente noti in Europa e meritano di essere osservati con gli stessi identici occhi. Identici.

AuLin