lunedì 9 maggio 2016

Human

  • Per trovare una risposta a cosa vuol dire essere Uomini
  • Per riflettere profondamente
  • Per ritrovarsi, ritrovare la nostra anima



“Non c’è niente di più forte di qualcuno che ti guarda dritto negli occhi e ti apre il suo cuore” ha detto Yann Arthus-Bertrand.
E’ così che il regista e fotografo francese ha concepito ‘HUMAN’, il documentario fuori concorso nell’ultima edizione del Festival di Venezia e presentato all’ONU per celebrare i 70 anni delle Nazioni Unite, straordinariamente concepito grazie al fatto che lo stesso abbia, nel corso di due anni, intervistato e dato voce a più di 2000 persone in 60 paesi diversi, nell’intento di trovare una risposta a cosa vuol dire ‘essere uomini’.


Il documentario, che  dura più di due ore, è dato da primi piani su migliaia di visi di persone (dagli Stati Uniti a Mali) che spiegano cosa intendono per vita o morte, che cosa intendono per felicità, amore, libertà, intervallati da immagini di grande potenza fotografica di svariati posti (dalla Mongolia alla Siria) in cui le culture e le vite di uomini e donne si snodano secondo stili di vita, idee ed abitudini socio-economiche molto diverse le une dalle altre.
Il continuo passaggio dai primi piani dei visi delle persone e la vastità della Terra sulla quale essi vivono, dà un immediato senso della relatività della presenza umana in questo mondo.
Già perché è di questo che si parla: di dove essa si annidi, dove è ancora possibile vedere quanto non ci siano differenze tra esseri umani dalle culture agli antipodi quando si parla di emozioni, di come è ancora possibile trovare una comunicazione tra essi.
Si potrebbe definire tecnica fotografico-antropologica: quando si tratta un tema molto connotato culturalmente, ad esempio la percezione del ruolo di genere tra uomo e donna, il regista, mentre lascia parlare una donna ghanese sulla motivazione della sua felicità (svegliarsi e correre al campo vicino casa per raccogliere il mais insieme ai nipoti), stacca sul viso di una moderna manager di successo inglese, quasi a voler mettere in ascolto questi due mondi che sembrerebbero antitetici, in un dialogo-confronto che indica la via della molteplicità dei punti di vista.


Il risultato, almeno per me, alla fine delle due ore e mezzo di proiezione, è che invece tutto ciò che noi esseri umani conserviamo di difforme è la costruzione della diversità, così come la costruzione di un conflitto, di una guerra.
Perché, dopo aver visto ‘Human’, ciò che resta, è la consapevolezza di quanto sia liberatorio riconoscersi in ciò che ci hanno indotto a credere dissimile, a quanto essenzialmente ci siamo volutamente, a poco a poco, allontanati da noi stessi.
Guardarlo è un ritrovarsi.
Buona visione.

Elisa Di Giorgi