domenica 28 dicembre 2014

St.Vincent: decadente, cinico, fantastico Bill Murray.

-Bill Murray che è sempre una garanzia;
-Irriconoscibile e brava Naomi Watts;
-Il monologo del piccolo Oliver;


St.Vincent,  il primo film di Theodor Melfi, è uscito sotto le feste di Natale, ma è attualmente il film meno natalizio che nelle sale cinematografiche italiane. O forse no.
Ognuno di noi da piccolo ha avuto un parente burbero in famiglia, di solito è uno zio, o un cugino grande o un fratello del nonno, se non proprio il nonno. Sono quei parenti che al tuo compleanno sono incredibilmente tirchi, che hanno un look quanto meno trasandato, che rispondono male a tutti (compresa tua madre), ma che in fondo sono persone buone, la cui vita è stata cattiva con loro e che a te hanno dato sempre illuminanti consigli.

 Bill Murray è Vincent, un sarcastico ex militare con problemi di alcool e  gioco d'azzardo. Il nostro riluttante protagonista si imbatte in Oliver (Jaeden Lieberher), il figlio della nuova vicina di casa e ne diventa il... babysitter. Per soldi ovviamente. Tra il piccolo timido Oliver e il burbero Vincent nasce uno strano rapporto, fatto di scommesse di cavalli, lezioni di lotta e serate in pessimi pub. I due insegneranno qualcosa uno all'altro e sarà proprio il piccolo Oliver a mostrare a tutti "ogni santo è stato prima un peccatore".

La trama non è del tutto originale e ricorda certi film di Walter Matthau, ma Murray è calato a perfezione nel ruolo del cinico come in tanti suoi film (da Ghostbuster I e II, Ricomincio da capo, Broken Flowers e Lost in Traslation), in questa pellicola la fisicità da anziano, l'alcool e la trasandezza lo rende veramente credibile. Naomi Watts è bravissima e irriconoscibile, e il monologo finale del piccolo Oliver vale tutto il film. Di Natale o meno che sia.


 
MG.

martedì 25 novembre 2014

Photolux 2014: il World Press Photo a Lucca.

- Per avere un'ampia panoramica dello stato della fotografia nel mondo;
- Farsi coinvolgere senza commiserare dai reportage fotografici;
- Per vedere come si può raccontare una o più storie in un semplice scatto;

Per il decimo anno consecutivo il World Press Photo torna a Lucca dal 22 novembre fino al 14 dicembre e trasformando la provincia toscana in una città di fotografia. Insieme all'esposizione del concorso fotografico più famoso al mondo, la manifestazione Photolux 2014 organizza incontri e workshop con fotografi, direttori di testate culturali, photo-editor e proiezioni di film come "Il sale della Terra" di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado ispirato al fotografo Sebastião Salgado. Il programma degli incontri e eventi si può scaricare da qua.


Il fulcro principale del Photolux 2014 è l'esposizione dei vincitori per le varie categorie del World Press Photo. Il vincitore assoluto dell’edizione di quest’anno è l’americano John Stanmeyer della VII Photo Agency, la fotografia dei migranti africani sulla riva della città di Gibuti di notte, che alzano i loro telefoni per cercare di catturare un segnale dalla vicina Somalia, un tenue legame con i parenti all'estero. Gibuti è un punto di sosta comune per i migranti in transito da paesi come la Somalia, l'Etiopia e l'Eritrea, in cerca di una vita migliore in Europa e nel Medio Oriente.



Sono tante le foto che raccontano gli eventi  nella loro drammaticità senza raccontare per forza la compassione, cercando piuttosto l'orgoglio di chi è in difficoltà. Come il progetto "Heptathlon and cancer" di Peter Holgersson primo classificato nella categoria Sports Feature , 1st prize stories, dove racconta la bellezza della sfida dell'atleta Nadja Casadei nella sua lotta contro il cancro e il suo incessante allenamento anche nel periodo delle cure. Oppure gli scatti su "Typhoon survivors" di Philippe Lopez che mostra le donne delle Filippine con le statue religiose dopo l'abbattimento del tifone sulle loro terre che ha causato lo sfollamento di oltre 4 milioni di persone. Non sono immagini di disperazioni, ma di fierezza nello sguardo delle donne.




Foto che raccontano storie di tutti i giorni come i ritratti dei culturisti egiziani con le loro madri del fotografo francese Denis Dailleux per il progetto Mother and Son. Oppure storie di ordinaria follia il caso molto discusso della fotografa Sara Lewkowicz: l'artista americana ha seguito una famiglia americana per mesi fotografando una coppia con una bambina, quando il padre ha avuto atti di violenza verso la madre lei non è intervenuta, il progetto si chiama A Portrait of Domestic Violence.




Lascia un po' perplessi la mostra Saudade Moon di Paolo Marchetti, il vincitore della scorsa edizione del prestigioso concorso fotografico Leica Photographers Award. Il progetto mostra un Brasile insolito, naturalisticamente molto bello, ma con scatti in bianco e nero, freddi e talvolta pieni di dolore. Un Brasile quasi irreale rispetto ad una nazione piena di colori e gioia (nonostante la diffusa povertà), uno spirito orgoglioso ignorato per far posto a una visione lunare insolita e distaccata.


 MG.

giovedì 6 novembre 2014

Torna l'onda noir di David Lynch con The Factory Photographs.



-Per farsi trascinare dalle atmosfere oniriche "Lynchiane"
-Per non lasciarsi sfuggire uno spazio che può far invidia a una metropoli Europea.
-Perchè una volta usciti, avrete voglia di riprendere in mano la vostra macchina analogica.




È tornato David Lynch.
Non con un nuovo film, né con il sequel di Twin Peaks, neanche con un nuovo album, ma con una  mostra fotografica dal titolo David Lynch: The Factory Photographs, che dal 17 settembre al 14 dicembre troverete al MAST (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia) Centro Polifunzionale di Bologna. L'esposizione è curata da Petra Giloy-Hirtz, in collaborazione con MAST e The Photographers' Gallery.

Centoundici scatti in bianco e nero di luoghi abbandonati e fumosi, geometrie intriganti, comignoli e ciminiere  di fabbriche silenziose e decadenti, cortili abbandonati, foto scattate tra il 1980 e il 2000 a Berlino, in Polonia, New York, New Jersey e Inghilterra.

Lynch ha il potere di rinnovarsi in ogni forma d'arte a cui si approccia e la sua poetica traspare come un marchio di fabbrica, sprigionata dalla grana delle sue foto, esclusivamente in bianco e nero.
Nella prima sala, una sua citazione ci spiega il suo rapporto con l'oscurità, che ancora una volta è un tema centrale del suo lavoro.
Abbiamo tutti una zona d'ombra con cui spesso è difficile  mettersi in contatto, è buia, fa paura e rinchiude disagi e rancori, dubbi e ingiustizie subite.
Proprio attraversando il buio, spiega Lynch, che prende forma ciò che temiamo e di conseguenza si fa più chiaro quello di cui  non possiamo fare a meno.
E alla fine anche il buio è illuminante.


(David Lynch, Untitled, (Łódź), 2000, Archival gelatin-silver print, 11 x 14 inches, © Collection of the artist)


Questo è il concetto che si cela dietro agli anfratti nascosti delle fabbriche abbandonate di Lynch. Luoghi silenziosi in cui una volta risuonava il boato incessante delle macchine industriali e che ora sono dominati da un silenzio inquietante, che fa riflettere sul passato e sul presente.
Fanno parte della mostra una selezione dei suoi primi cortometraggi, meno noti al grande pubblico, che verranno proiettati a ciclo continuo all’interno del percorso espositivo: Industrial Soundscape, Bug Crawls, Intervalometer: Steps.



(Mark Berry, Portrait of David Lynch, Courtesy of the artist)

La fondazione Mast, nata nel 2013, promuove progetti di innovazione sociale e culturale, nasce da un intervento di trasformazione di una vecchia area industriale dimessa. II luogo e i contenuti della mostra, sembrano così tenuti insieme da un sottile filo rosso che collega il tutto. Ma c'è qualcosa che non quadra.
Il design in legno chiaro e trasparenze, che caratterizza la struttura innovativa della Gallery, contrasta nettamente con le atmosfere noir evocate dalle foto. Un paradosso o una provocazione?
Ovviamente, mistero.

Martina Traversi.

domenica 2 novembre 2014

LE DONNE DEL DIGIUNO contro la mafia

- per non dimenticare
- per celebrare
- per cambiare


Daniela Musumeci
 Fotografie di Francesco Francaviglia

Accanto all'entrata degli Uffizi c'è una chiesa sconsacrata che non sembra per niente una chiesa. Questo posto, dove sono esposti affreschi di Andrea Del Castagno, dipinti di Renato Guttuso, sculture di Marino Marini, fino al 9 novembre 2014, ospita una mostra fotografica, secondo me, meravigliosa.
Una mostra di ritratti, ritratti di donne ma non donne qualsiasi.
Sono donne ribelli, quelle che nel 1992 scioperarono, in modo silenzioso, per farsi sentire dal "marcio" e da chi quel marcio non è stato, tutt'ora, in grado di combatterlo…


Rosanna Pirajno
Letizia Ferrugia


Era il 1992, avevo 12 anni e di quel giorno ricordo solo tanto silenzio, dal nulla, un silenzio pesante, opprimente intorno, un silenzio che probabilmente stava sentendo tutta l'isola; 3 minuti dopo i TG straordinari annunciavano la strage di Capaci e solo 2 mesi dopo un'automobile esplodeva a Palermo, in via D'Amelio.
Morivano, oltre alle scorte di uomini valorosi, 2 uomini capaci di lottare contro un cancro che, purtroppo, ancora oggi e in svariati modi, corrode la Sicilia e l'Italia intera.

A Palermo nacquero associazioni, coordinamenti e proteste, tra cui questa di Piazza Castelnuovo, fatta dalle donne ritratte nelle foto.
A turno, a tre a tre, digiunarono per tre giorni, contro la mafia e contro chi, pur conoscendo i rischi, non aveva trovato il modo di evitare il peggio. Volevano dimostrare il desiderio di verità sperando in una società, in una Palermo, in uno STATO migliore… la loro era FAME DI GIUSTIZIA.


Daniela Dioguardi
 22 anni dopo, quelle donne si sono ritrovate davanti l'obiettivo di Francesco Francaviglia per ricordare la forza simbolica di quel gesto.
Sono quelle donne forti e coraggiose che si sono schierate a viso aperto contro la criminalità, che non hanno avuto paura e hanno lottato, come gli era possibile, contro l'omertà e, passatemela, lo schifo che regnava in quel periodo.

 


Dora Ruvolo
Francesca Traina

Ogni volto, adesso solcato dalle rughe, mostra, oltre ad un dolore intrinseco, tanta fierezza, forza e audacia, la stessa che hanno avuto 22 anni fa, sono donne che non sono cambiate dentro, che sfidano ogni giorno la paura e il triste ricordo, purtroppo ancora enigmatico, che avvolge quei giorni… perché dopo tutto questo tempo, la verità su quelle stragi, non è ancora saltata fuori…

marel












domenica 12 ottobre 2014

Serie televisive: GIRLS.

- Il talento espressivo di Lena Dunham 
- L’ottima colonna sonora
- Perché siamo tutti un po’ imperfetti


Quattro amiche, New York, sesso, amore… no, non state leggendo l’ennesima recensione easy-chic su Sex and the City, perché Girls non è la solita commedia romantica di quattro amiche alla ricerca del grandeamore nella grandemela, con in mano carte di credito illimitate e ai piedi Manolo Blahnik; Girls è profondo e riflessivo, mai banale.
Le puntate, che ruotano intorno a quattro piccole e imperfette donne che affrontano l’età adulta, sono scandite da un’elegante semplicità romantica e da una forza espressiva potente capace di comunicare esplicitamente e senza censure.



 
Lena Dunham, scrittrice, produttrice e anche regista di questa serie firmata HBO, racconta attraverso gli occhi di Hannah, suo alter ego e che lei stessa interpreta, la vita quotidiana della sua generazione; di come sia complessa e difficoltosa la vita alla soglia dei trent’anni, quando si è alla ricerca di un lavoro lontano da casa e si ha la frustrazione di raggiungere un obiettivo, della paura di deludere la propria famiglia o, ancora, di come ci si possa sentire vuoti in una relazione sbagliata, ma anche della solitudine quando si cerca di affrontare il mondo così apparentemente e maledettamente ostile, che ci chiede di essere perfette e sempre all’altezza, mentre la sola cosa che si prova è inadeguatezza.

 
I personaggi di Girls non vogliono risultare simpatici e belli ad ogni costo per attrarre il pubblico, perché la bellezza e la fortuna di questa serie si basa sull’interpretazione e sulla scelta di immagini e riprese semplici ma incisive, dove il realismo espressivo dei singoli riesce comunque a creare un gruppo eterogeneo nel quale ogni spettatore, giovane e non, può misurare la propria vita.


Nesh.

sabato 11 ottobre 2014

Il Maggio: La Melodia di Firenze.

Dopo una stagione con il Maggio Musicale Fiorentino come fotografa, Azzurra Becherini realizza una mostra fotografica a Le Murate (Piazza delle Murate) a Firenze basata sulla sua esperienza.
 Il vernissage della mostra allestita da Valentina Nazionale sarà Giovedì 16 Ottobre, nell'occasione suoneranno il Trio di flauti dolci “Chicas del David” (Lady Johanna Lopez Valencia, Urška Cvetko, Lenka Molčányiová) e prensentato il dvd "Luce sul Maggio - Frammenti storici del Festival". 



La mostra dura fino al 30 ottobre, per chi non conosce Firenze, "Le Murate" sono il vecchio carcere maschile di Firenze per oltre cento anni e prima ancora un ex-monastero. Attualmente è uno spazio rivalutato molto suggestivo, con (bellissime) case popolari, caffè letterari e iniziative culturali.

Intervisto la fotografa Azzurra Becherini sulla sua mostra per capire meglio cosa ha unisce i due mondi musicale e fotografico.
Pensi che Fotografia e Musica sono due arti che possono comunicare? In che maniera?
Vista e Udito sono due dei sensi che assieme comunicano tra loro. Entrambi creano visioni e "melodie", emozionano chi ne fruisce. La loro commistione di arti creano emozioni bellissime.



Quale è l'obiettivo della tua mostra?
La mostra si chiama "Il Maggio: La Melodia di Firenze" e si muove attraverso le immagini dei concerti, degli incontri, degli spettacoli, delle mostre, nei mille luoghi della città. Come fotografa e artista residente del festival, ho cercato di ascoltare, vedere e cogliere questo spirito, questa voce, questa melodia.

Hai avuto l'onore di scattare il grande maestro Riccardo Muti, come è stato?
Bellissimo. Un uomo veramente carismatico. Per me è stato un vero onore di scattare come unica fotografa presente un maestro di quel calibro e conoscerlo è stato davvero interessante.




Quale momento che hai scattato ti ha più emozionato?
Non c'è un momento preciso che mi ha emozionato piu' degli altri. Ogni volta che ho scattato un evento, uno spettacolo, un concerto è stata un emozione speciale diversa e unica. Ogni evento è stato unico, come location, come emozione.

Spiegami meglio.
Quello che più mi ha colpito è stato trovarmi in spazi atipici per la musica, come musei o  gli archivi storici della biblioteca nazionale. Luoghi veramente suggestivi di Firenze e per questo devo ringraziare la sensibilità dell'organizzatore degli eventi attorno al festival Giovanni Vitali.

MG.

martedì 7 ottobre 2014

Processo ad Amleto


- Un insolito spettacolo teatrale
- L’arringa finale degli avvocati e del pubblico ministero
- Il finale che cambia ad ogni replica


Se Amleto fosse vissuto ai nostri giorni? E se invece di morire dopo l'omicidio di Polonio, padre di Ofelia (fidanzata di Amleto), fosse stato arrestato e... processato?

Questo è l'intento dello spettacolo "Please, Continue (Hamlet)" ideato da Yan Duyvendak e Roger Bernat e portato in scena domenica 28 settembre 2014 al teatro Fabbricone di Prato, in occasione del Contemporanea Festival.



Una via di mezzo tra la più famosa tragedia shakespeariana e un giorno in pretura, il processo ad Amleto si è svolto con solo tre attori: Francesca Mazza (nei panni di Gertrude), Francesca Cuttica (in quelli di Ofelia) e Benno Steinegger (nell'assassino, Amleto appunto).
Il resto degli elementi del processo sono composti non da attori ma da veri avvocati, procuratori e giudici, nei loro ruoli istituzionali: il pubblico ministero, il perito psichiatrico, gli avvocati e la giuria.


Un fascicolo è stato presentato ai professionisti del processo e, in via del tutto eccezionale, al pubblico con gli interrogatori all'accusato, alla madre e alla fidanzata, le relative foto del cadavere e la perizia psichiatrica del presunto omicida.

La trama, rispetto all'originale del drammaturgo inglese, oltre a portare la scena del delitto ai giorni d'oggi, rappresenta la scena in un povero quartiere operaio, piuttosto che nella nobiltà dell'epoca. la giuria è composta da spettatori presi a caso dal pubblico e il processo può finire ogni volta in maniera totalmente diversa. quasi a dimostrare l'importanza della bravura di ogni singolo elemento del processo.


Non è un caso infatti, che gli interpreti più credibili sulla scena siano proprio il pubblico ministero (Mauro Cini) e l'avvocato di Amleto (Manuele Ciappi) che nella loro arringa finale danno rispettivamente il meglio di sè, come prova attoriale e giudiziaria. Non è forse una piecè teatrale quella che svolgono ogni giorno nelle loro professione?

MG.

sabato 27 settembre 2014

Serie televisive: Orange Is the New Black.


Con Orange is the New Black inauguriamo uno spazio sul blog dedicato alle serie televisive, un genere che sempre più sta prendendo piede nei palinsesti televisivi e nei computer, diventando sempre di più il fenomeno mediatico culturale più innovativo. Se sempre più spesso al cinema troviamo storie legate a saghe (Marvel, Star Trek, Star Wars, il mondo di Tolkien, Hunger Games...) o "reboot" di storie già viste, le serie televisive sono invece le storie dove gli sceneggiatori osano di più, aumentando le difficoltà e alzando sempre di più l'asticella del politically correct. Nonostante questo, è sbagliato pensare che le serie televisive siano un prodotto di nicchia, sono all'opposto un fenomeno mediatico complesso, seguite da un pubblico molto attento e ben informato.



Orange Is the New Black è la storia di Piper Chapman, una wasp (White Anglo-Saxon Protestant) che si costituisce dopo essere stata accusata di aver trasportato narco-dollari insieme alla sua ex-fidanzata Alex. Il reato è stato commesso dieci anni prima e la vita di Piper è nel frattempo diventata più borghese: fidanzata felicemente con uno scrittore, produce una linea di saponette e non è pronta alla vita nel carcere. Il binomio vita nel penitenziario e vita fuori di tutte le detenute è sicuramente una delle basi della sceneggiatura del telefilm. La serie usa infatti l'espediente dei flashback per raccontare "l'altra vita" delle protagoniste, proprio come faceva LOST con i naufraghi dell'isola.





La serie ispirata alle memorie di una vera carcerata (Piper Kermann) vanta come regia per alcuni episodi Jodie Foster e per la sigla una canzone di Regina Spektor. In America sono andate in onda due serie trasmesse online da Netflix, in Italia la prima serie è andata in onda sul canale Infinity e dal 23settembre in televisione su Mya.


OINTB non risparmia niente agli occhi degli spettatori: scene di sesso lesbo esplicite, dialoghi duri e comportamenti scorretti, il tutto per rappresentare in maniera realistica la dura vita del carcere femminile. Nonostante tutto questo ha un risvolto positivo, un senso di rivalsa, una promessa di potercela fare anche nelle peggiori difficoltà e negazioni del penitenziario.

MG