domenica 2 dicembre 2012

L’arte degli anni 30 oltre il Fascismo a Palazzo Strozzi.



-Il futurismo;
-Tutto quello che è oltre al futurismo: Donghi, Sironi, Thayaht e Crali.
-Il design anni 30.


Palazzo Strozzi ha sempre un’attività di mostre molto interessanti, coadiuvate a quelle organizzate al piano inferiore del Palazzo, la cosidetta Strozzina. L’intento di questa mostra è di fare il punto della situazione sugli Anni 30 oltre al futurismo. Molte infatti sono le mostre su questo movimento artistico legato all’epopea Fascista e se pensiamo a quel periodo storico subito si pensa a Futurismo e affini in tutte le forme artistiche. La mostra non vuole negare o nascondere niente di questo movimento, anzi molte opere fanno parte del primo e secondo Futurismo, ma vuole al contrario esaltare quelle “battaglie di stili diversi” che imperversarono in un decennio non semplice (i sentori della guerra, il fascismo), ma artisticamente fervido.



Un periodo storico che aveva i suoi centri artistici nelle città italiane Milano, con Sironi, Martini e Carrà, Firenze con Soffici e Rosai, Roma, divisa tra classicismi e realismi di Donghi (bellissimi i suoi ritratti esposti usata come logo della mostra), Carena, Ceracchini e la Torino di Casorati. Un periodo storico che contrappone al futurismo, il chiarismo e l’arte “degenerata”, contraria al nazismo.



La mostra vuole inoltre mostrare il periodo nei media, nell’inizio delle comunicazioni di massa, della radio appoggiata dal Fascismo (“perché parlava anche a chi non sapeva leggere”) e l’importanza della musica in quel periodo, offrendo anche una retrospettiva sul design italiano con le sedie tubolarie e le lampade “Luminor”.




Il periodo di Fontana scultore (prima dei suoi famosi tagli), di De Chirico, ma anche di “Maramao perché sei morto”, della Venezia delle biennale e della Palermo di Guttuso. Un periodo sicuramente contrastante e su cui molto potremmo discutere, ma sicuramente non un periodo artisticamente morto.

MG.

mercoledì 19 settembre 2012

Cronache di Gerusalemme di Guy Delisle.

-Lo stile minimale e altamente narrativo.
-Farsi un'idea sui territori palestinesi (spesso nelle cronache mediatiche, ma difficilmente riassumibile).
-Leggere un libro di viaggi, storia, bellezze, società e contrasti religiosi.

I libri di Guy Delisle sono dei veri e propri diari a fumetti più che di viaggi, di periodi di vita passati in città quanto meno difficili. Dopo la Pyongyang della dittatura coreana, l'industriale città cinese Shenzem e la cruda Birmania, l'autore canadese racconta in trecento e rotte pagine un anno di vita nei territori Israeliani/Palestinesi.



L'autore parte con i due figli per seguire la moglie impegnata in una ONG, per quello che l'incrocio più caldo di religioni del pianeta: Gerusalemme e i territori circostanti. La città conta presenze mussulmane, ebraiche, cattoliche, cristiane ortodosse e sammaritane! Il suo punto di vista è, come nei libri precedenti, puro e senza idee di partenza, Guy è un osservatore di  "forzate stranezze", quando non sono dei veri e propri soprusi.



Lo sguardo è sempre tra quello tra il turista che visita i luoghi più belli e significativi per le varie religioni (la chiesa della natività, il muro del pianto, la Moschea della Cupola della Roccia, solo per citarne alcuni), alle difficoltà della vita quotidiana (il muro che impedisce l'accesso a parte della città costringendolo a compiere giri pazzeschi, i continui ed estenuanti check point, il traffico cittadino incredibile, le normali persone israeliane che girano armate), fino ad arrivare a dei veri mini racconti di poche pagine senza parole per descrivere con i suoi occhi da occidentale ateo la follia della religione (da quella degli ultra-ortodossi israeliani che prendono a sassate la sua macchina con la famiglia a bordo solo perché viaggia in un loro quartiere di sabato, alla studentessa del suo corso di disegno completamente coperta dal velo che non può disegnare figure umane!).



L'anno trascorso inoltre è il 2008, lo stesso anno dell'attacco di Israele nella striscia di Gaza, la cosiddetta "operazione piombo fuso" (per maggiori informazioni vedere qui). Nelle varie interviste/incontri che ha l'autore con i palestinesi hanno un'unica morale: tutte le azioni belliche e di occupazioni israeliane hanno un effetto opposto, quello di rafforzare Hamas e gli altri gruppi estremisti.



Il libro ha vinto quest'anno il Festival di Angoulême, la narrazione non ha nessuna retorica, non è un trattato storico-poltico, ma scorre in uno stile fluido e minimale, dove le parole sono ridotte al minimo, ma con un risultato narrativo sicuramente efficace. Delisle riesce a suscitare emozioni, ma allo stesso tempo non sbilanciandosi in accuse su alcuni comportamenti dei coloni israeliani e lasciando che sia il lettore a farsi una propria idea e ad esprimere un ssuo commento.

Sul  sito del corriere della sera è pubblicata una preview del libro.

MG.

domenica 16 settembre 2012

A Prato torna la mostra del Fumetto anzi... Prato Comics & Gam... & Play!

-Le copertine originali di Dylan Dog di Angelo Stano.
-Le tavole del Marveliano Simone Bianchi.
-Il coraggio e la follia dei Cosplay!

Dobbiamo dirlo questo settembre Pratese è veramente una sorpresa: piazza Mercatale relegata quasi sempre a piazza parcheggio piena di persone, la palla grossa (che può piacere o meno ma funziona), la festa medievale che ha riempito di persone una zona della piazza quanto meno "buia e solitaria" e... il Prato Comics and Play!




Negli anni '80-90 Prato era un piccolo punto nel panorama geofumettistico italiano, Stefano Bartolomei era riuscito negli anni ad organizzare la "mostra del fumetto" e a portare nomi importanti come Luca Enoch, Hugo Pratt, Will Eisner e Andrea Pazienza. Poi per anni, otto per la precisione, il silenzio fino a quando la manifestazione rinasce con il nuovo nome di Comics & Play che richiama molto la cugina maggiore Lucca. Gli ospiti sono la parte più succulente dell'evento, si va da uno dei maestri storici dell'animazione Made in Italy, Bruno Bozzetto, ad il disegnatore delle copertine (nonché di alcuni albi storici) di Dylan Dog, Angelo Stano, fino ad un disegnatore della "casa delle idee" Marvel l'italiano Simone Bianchi.



L'evento è arricchito dall'associazione Luce Nera che si occupa dei giochi di ruolo dal vivo, dalle sfilate/gare di Cosplay (la parte più pittoresca e allegra) e dagli stand della mostra mercato. Molti affermano che i tre mondi, fumetti/gioco di ruolo/cosplay siano separati e difficilmente mal conciliabili. Il fenomeno cosplay è, si voglia o non si voglia, direttamente discendente dal mondo fumetto (in particolare manga, ma anche comics americani, e cinema). Il terzo, i giochi di ruolo, spesso hanno una location spazio-temporale simile ai fumetti, spesso sono illustrati da disegnatori che sono anche fumettisti e molto più semplicemente hanno un target di pubblico in comune. Io credo che i tre mondi possono convivere, non è un caso che l'evento di Lucca sia esploso a livello di successo di pubblico quando al fumetto si è unito il mondo dei Games e quando hanno ufficializzato il movimento otaku dei cosplay. Un mondo quest'ultimo che gode di una freschezza e forza che forse al fumetto, ahimè, manca. E lo dico con rammarico visto che preferisco di gran lunga l'arte disegnata dei comics al carnevale allegro dei cosplay.



Credo invece che i tre mondi devono crescere in spazi e con manifestazioni più degni di questo nome. La proiezione di un lungometraggio d'animazione candidato all'oscar come "Chico & Rita" non può essere proiettato in una sala laterale minuscola e calda al cinema Terminale. Le splendide tavole di Angelo Stano e Simone Bianchi soffrono in una location come Officina Giovani più adatto ad una manifestazione di teatro Off o concerti che ad una mostra artistica (una parola anche sulle sale nuove prive di pareti a cui attaccare ogni tipo di cornice!) di fumetti.





Insomma gli organizzatori (e la loro cultura) ci sono, i nomi e gli ospiti ci sono, l'entusiasmo (credetemi a officina ce n'era tanto!) c'è, persino il pubblico di appassionati non manca... buona la prima, nuova, edizione, ma facciamo che la seconda abbia il giusto rispetto nei luoghi dove si svolge!

MG.

domenica 5 agosto 2012

La notte dei Gatti@museo Pecci.

-Amarcord Pratese: "m'è morto il gattoooo"
-Paolo Conte in salsa di Caciucco
-La buona nuova musica Italiana, che non passa da X-Factor.

Prime serate d'agosto, caldo, fin troppo sui gradoni dell'anfiteatro del Museo Pecci, cornice dell'evento musicale "La notte dei Gatti". Il gruppo di apertura sono i pratesissimi "Edipo e il suo complesso", gruppo che al vecchio Cencios suonava a mesi alterni (uno si e uno no!) e che commuovono con la loro "with or without you" degli U2 che diventa "M'è morto il gatto!".

Gatti invece molto vivi per Pisa, presenti nel loro quartetto voce, batteria (jazz), piano e contrabbaso.
I gatti mezzi suonano magnificamente in uno stile che va dall'eccentricità di Paolo Conte allo stile gessato di Fred Buscaglione. In puro dialetto pisano (fra vaìni e i ponce) raccontano storie di provincia all'ombra della torre pendente, ma sopratutto... un amore sconfinato per la pesca e il mare!
Se in "Portami a pescare" Tommaso Novi ammette la sua passione contro l'odiosa montagna ("c'è l'inverno d'estate"), "sott'Arno stasera" paragona il loro amore come quello di cee e angullia e "si fa un figliolo e a nuotare gli s'insegnerà", fino alla e la ricetta del più famoso piatto di pesce nella "la zuppa e r cacciucco"!




Sono strani i personaggi di provincia raccontati nel jazz/ragtime pisano: clochard, bulli di periferia (anzi "gallacci"), pigri (era così pigro che lo chiamavano "occhiaia"), pazzi che vedono le balene a Marina di Pisa, fino ai famigerati odiati cugini livornesi! Quelli che "hanno due e spendano dodici!".

Una visione sociologica di realtà tutt'altro che anacronistiche, scatti fotografici che ancora esistono, e che vengono messi in musica dal duo Novi e Bottai e che raggiungono l'apice della pisanità lessicale nel monologo "sur purmà". Micidiale la risposta alla domanda degna della rivista Focus: Lo sai perchè il mare è salato?". La risposta nel video qua sotto.


Artro che "Pisa Merda!".

MG.

sabato 28 luglio 2012

Un altro Uomo Ragno?

-per il ruolo inedito del padre di Peter Parker
-scende sempre una lacrima alla morte di zio Ben
-perchè se sei cresciuto con il tessiragnatele... lo amerai sempre!

La domanda che mi sei posto un anno fa quando hai visto il primo trailer di "The amazing Spider-man" è sempre la solita: un nuovo film sulle origini dell'Uomo Ragno dopo i tre film di Raimi?




E ancora me la continuo a fare.

Perchè se nella nuova trilogia di Batman (con Christian Bale protagonista) i toni, le atmosfere, la recitazione e la credibilità dell'uomo pipistrello è totalmente cambiata rendendola più dark e meno fumettosa... in questa pellicola del regista americano Webb (nome omen dire, web=ragnatela!) non si distacca poi tantissimo dal primo capitolo della precedente trilogia. La maggiore differenza a livello di sceneggiatura è sicuramente la più apprezzata: il ruolo misterioso e principale del padre di Peter Parker, scienziato morto in circostanze del tutto chiare.

Per il resto poco cambia: il conflitto con Thompson, i poteri ricevuti, nuovo cattivo (un Lizard insolitamente grande e come ammette il padre di Gwen ricorda i dinosauri di Jurassic Park!), la morte di zio Ben (più credibile, sniff...) e swinswap via con le ragnatele sui palazzi. Cambiano le tecnologie, i punti di vista... ma la trama è sempre quella!


Ma poi pensi: anche in Amleto la trama è sempre quella, anche nell'Odissea di Omero... e anche nel Pinocchio di Collodi! Eppure vengono rappresentate continuamente in nuove e vecchie versioni in libri, teatro e al cinema! Allora pensi che i supereroi (come già detto in questo blog) sono la nuova mitologia per il popolo amerincano. E in fondo gli attori sono tutti bravi (nessuno escluso) e forse non conviene più godersi lo spettacolo che porsi la solita domanda: valeva la pena girare un nuovo film su l'Uomo Ragno?

MG.

venerdì 20 luglio 2012

Subsonica@Pistoia Blues.

-Ballare in Piazza Duomo;
-Il suono degli anni '90, '00 e '10;
-La cover di "Up Patriots to Arms" di Battiato;


Tempo d'estate! Le piazze e le arene di tutta la Toscana si riempiono di concerti. Se Lucca porta a suonare i Kasabian, Laura Pausini e DuranDuran, Arezzo (Wave bentornato in Toscana!) punta su Nina Zilli, Caparezza, Yann Tiersen e i Crookers, Prato conta su Francesco De Gregori e la brasiliana Maria Gadù, e il buon vecchio Pistoia Blues? Paolo Nutini, B.B. King e... i Subsonica!



Il gruppo di Torino ha concluso il tour dell'ultimo album "Eden" e subito riparte con Istantanee Tour (dal nome del primo singolo) dedicato ai quindici anni d'attività musicale di Samuel & Co. Per festeggiare i 15 anni i Subsonica hanno pubblicato il libro X15, dove 15 autori (tra cui Luciana Littizzetto, Massimo Gramellini e Marco Travaglio) raccontano 15 storie dedicate a 15 canzoni. Per Pistoia il gruppo ha una nuova scaletta di pezzi che spazia da pezzi storici, come "Cose che non ho", "Colpo di Pistola", "Discolabirinto" e "Depre". I fan della prima ora sicuramente ringraziano!



La formazione è in forma smagliante e, complice un clima estivo da concerto all'aperto, ha voglia di far ballare il pubblico: la linea comune di tutta la scaletta è data dal numero più o meno elevato di BPM ed è impossibile non muoversi. Tutto questo a discapito di pezzi più "intimisti", come li definisce Samuel stesso sul palco, anche famosi come "Incantevole", "Dentro i miei vuoti" o "Dormi". Tutto questo trasforma piazza Duomo a Pistoia  in una dance floor con una scenografia unica. I Subsonica non saranno una "Nuova Ossessione", ma sicuramente rimangono una buona conferma!



MG.

mercoledì 23 maggio 2012

Incontro con Philippe Daverio @Palazzo Pretorio, Prato.


Il miglior pregio di Daverio (critico d'arte, giornalista e conduttore televisivo di programmi come Passpartout e Il Capitale) è la sua capacità di legare un'opera artistica con un'altra geograficamente, stilisticamente e spesso cronograficamente differente. Di questo suo pregio ne ha fatto uno stile e riesce a passare da De Chirico a Leonardo Da Vinci, da Duchamp a Platone, dall'architettura fascista alla filosofia.

In una Prato attenta alla cultura (siamo la città della statuetta etrusca di Pizzidimonte conservato al British Museum, di Filippino Lippi, di Curzio Malaparte, della statua di Moore, del teatro stabile della Toscana Metastasio, del Museo d'arte contemporanea Pecci e di quello Tessuto, ma ogni tanto ce lo scordiamo) con un vasto pubblico, Daverio presenta il suo libro "Il museo Immaginato" pubblicato per Rizzoli.


Rispetto alla figura didascalica televisiva, dal vivo Daverio è molto più ironico e sciolto (grazie anche al gintonic in mano) e spazia tra il ruolo del museo ("si dovrebbe vedere un quadro solamente in un museo, siete mai stati in una biblioteca e letto tutti i libri? O in una paninoteca ed aver mangiato tutti i panini?", "si esce dal Louvre dopo due ore, abbiamo visto duecento quadri, non ci abbiamo capito niente, abbiamo i piedi gonfi e un gran mal di testa!"), al suo passato elettorale (è stato assessore nel comune di Milano durante la giunta Albertini), all'arte contemporanea ("il cane di palloncini di Jeff Koons rappresenta in pieno il vuoto culturale americano"). Daverio espone il suo progetto di Museo all'aria aperta, ovvero creare una guida gratuita scaricabile che descrive i dettagli delle nostre opere d'arte (capitelli di Duomo, colonne e gargoyle ecc...), perchè la nostra Nazione è un continuo museo che va valorizzato e fatto conoscere.




Un ultimo appunto: rispetto alle tante persone che sono accorse, lo spazio offerto dall'assessorato alla cultura era totalmente insufficiente (sia la stanza in caso di pioggia, che il cortile del finalmente riaperto  Palazzo Pretorio). Questi incontri culturali stanno ricevendo l'attenzione che si meritano (il festival Dialoghi sull'uomo a Pistoia è sold out), facciamo in modo che siano organizzati in spazi adeguati. La cultura e il Paese vi ringrazierà.

MG.

martedì 8 maggio 2012

QVINTA


- curiosità
- ironia
- sorprese



"La verità non importa mai", nessuno la vuole sapere, -nessuno vuole trovare una via d'uscita perché a nessuno piace-, dove andiamo, cosa facciamo, la ricerca, il mutamento... succede. Punto.
Entrare, uscire, cambiare, diventare qualcos'altro o qualcun altro, nascere, morire.

La protagonista principale è la Quinta, l'"elemento" teatrale usato dagli attori per nascondersi al pubblico durante lo spettacolo ed entrare in scena quando è il loro turno, l'elemento che separa atto "finto" e realtà, il falso dalla verità .... ma "la verità non importa mai!"... e non sai mai quanto tu sia personaggio oppure no.

Uno spettacolo geniale, esilarante, che ti fa ridere e pensare a cosa sei, a cosa vorresti e potresti essere e a come ti trasformi.
Un gioco di entrate e uscite in tempi perfetti. Bravissimi gli attori, di una coordinazione eccellente, nelle immagini e nei giochi con le mani, con le uscite e le trasformazioni, dall'adorazione della quinta come "madre" di tutto quello che noi spettatori vediamo,  alla trasformazione di un personaggio nell'altro, Aldo che passa dietro la quinta e si trasforma in Armando, di Armando che ritorna Aldo, poi in Pasquale e in Riccardo, ma anche in coniglio perché "il coniglio fa contemporaneo", in foca, in cani giocattolo, in pesce rosso, supportati anche dalla piccola collaborazione del pubblico e dal meraviglioso pupazzo (muppets) vestito da Spiderman. 
Bello il riferimento all'Enrico V di Shakespeare che rappresenta la realtà con la finzione scenica ma, cosa sei fuori dal palcoscenico?? Chi sei dietro la Quinta?? 
Mi piace però associare buona parte dello spettacolo al teatro pirandelliano, (Enrico IV), al rapporto tra personaggio e uomo (finzione e verità), alla follia che nn ti permette di vedere le cose come sono davvero, che ti permette di non vedere quello che potrebbe farti male, che potrebbe farti soffrire, la follia come rifugio, come rottura con la falsità della realtà.
Ho scritto il vero o il falso?? La prossima volta venitelo a vedere!


marel





QVINTA

di Teatrificio sseDi e con Aldo Gentileschi Riccardo GorettiArmando Sanna Pasquale Scalzi

giovedì 26 aprile 2012

Brunori Senza Baffi-Tour Acustico @Teatro Metastasio - Prato.

-Atmosfere poetiche.
-Ironia.
-Dodici euro spesi meglio negli ultimi mesi.



Il teatro rispetto a tutti gli altri "luoghi" di spettacolo ha sempre avuto una valenza speciale. Non è un caso se nell'epoca dell'ipercondiviso web 2.0, il cinema ad effetti speciali 3D e la qualità del Blu-ray casalingo, le rappresentazioni teatrali resistono dai tempi dei greci fino ai giorni nostri. Anche la musica in teatro si spoglia della sua forza adrenalinica, tipica del rock, per vestirsi di suoni più corposi data la buona acustica di questi luoghi, atmosfere cariche di emozioni e sonorità più ricercate. Questo, ovviamente, quando viene organizzato un tour ad Hoc, come quello di Brunori, chiamato ironicamente "Senza Baffi".




Dario Brunori, meglio conosciuto con lo pseudonimo Brunori Sas è uscito alla ribalta di un certo pubblico curioso in poco tempo. Quasi totalmente ignorato dai network nazionali di radio e tv (anche quelle di "solo musica italianaaaaaaaaa!!!"), ha vinto il premio Tenco come prima opera con "Vol.1", pubblicato un secondo album "Vol.2 - Poveri Cristi e una colonna sonora del film "è nata una star" di Lucio Pellegrini con Luciana Littizzetto.




Al Metastasio di Prato l'italian dandy con occhiali (e a dire il vero anche i baffi!) arriva in un tour acustico con una formazione minore, solo nel numero di musicisti (un trio di fiati, viola, violino, mandolino, tastiere... una vera orchestra!) e un nuovo allestimento scenico. Le canzoni della premiata ditta Brunori Sas sembrano essere nate per l'acustica teatrale, alcune lievi e delicate come "il pugile" o "fra milione di stelle", altri i pezzi riarrangiati come il valzer "la mosca" e la non del tutto convincente "Rosa" (a cui manca la chitarra e il coro finale) e non mancano le nuove songs come "l'asino e il leone" e "amore con riseva" . Tra citazioni ironiche (Beverly Hills 90210 e "Non amarmi" di Aleandro Baldi) e omaggi (Lucio Dalla e Prince), il cantante calabrese è particolarmente in vena di chiacchere, battute con il pubblico... insomma diventa un cabarettista che non ti aspetti!


 


Tra qualche "dadada" di troppo (di cui il nostro Brunori abbonda) e un clima tra il poetico e l'ironico, con il finale di "Come stai" e "Guardia 82" il concerto è stato un tripudio di meritati applausi, degno del luogo che l'ospitava. Ora manca solo che il "grande" pubblico lo conosca, no?

MG.

mercoledì 11 aprile 2012

Blackbird @ Teatro Metastasio - Prato

di David Harrower
traduzione Alessandra Serra
scene Paco Azorin
costumi Chiara Donato
luci Claudio De Pace
con Massimo Popolizio e Anna Della Rosa
e con Silvia Altrui
regia Lluís Pasqual

-Dramma
-Concretezza
-Coraggio

Chi è l’orco cattivo? Non credo che nessuno abbia il benché minimo dubbio nel
condannare un abuso da parte di un adulto su un minore. Perché il contenuto è nudo e semplice: un adulto che ha pagato la sua pena incontra di nuovo l’oggetto del proprio abuso. Quel che risulta meno semplice da capire è il rapporto controverso che si è instaurato in passato tra i due e che prende di nuovo forma. Quanta paura abbiamo di confrontarci con il male? E maggiormente, quanta voglia abbiamo davvero di capirlo? Ci aiuteranno ad affrontare questo drammatico viaggio due attori che in
modo magistrale incarnano l’abusante e l’abusato, talvolta facendoci anche inorridire di fronte a pensieri scabrosi quali: chi è l’abusante e chi l’abusato? È raccapricciante poter pensare anche lontanamente che ci possa essere anche solo una minima comprensione verso un qualcosa che consideriamo il “male assoluto”.


Uno spettacolo che spaventa perché pone dei dubbi, solleva in noi molte domande, e forse la cosa che indispone maggiormente è che non avremo risposte. Ma solo
un’inconsueta e tragica storia d’amore.
Anna Della Rosa è una ormai cresciuta, che ci porta una storia fisica e verbale ricca di drammi vibranti e parole mai dette e che fanno tuttavia molta fatica a prender corpo. Questa fatica ma anche la forza sottostante di Una viene espressa dall’attrice con una grande carica fisica ed una mimica facciale leggera e naturale. Si scontra con questa sua modalità la grinta di Massimo Popolizio, Ray, che riesce ad investire lo spettatore talvolta aggressivamente, talvolta sofferentemente.


Il pubblico non può che restarne spiazzato.
Chi definisse questo dramma, un dramma sulla pedofilia ridurrebbe il senso dei
vissuti dei due protagonisti.
Condivido ciò che ha risposto il regista Lluìs Pasqual alla domanda su cosa avrebbe
voluto che il pubblico ricevesse dalla visione di Blackbird: “Che la gente uscisse da teatro pensando che le cose, le persone, le situazioni non sono così semplici, piatte e banali come in televisione”.

Rizzosi.

domenica 8 aprile 2012

Melancholia di Lars von Trier

-Kirsten Dunst e Charlotte Gainsbourg

-Il gusto di un’opera d’arte

-Surrealismo e cinismo

ATTENZIONE: questa recensione contiene spoiler sulla trama del film.

Lo spettatore guarda ed ascolta i primi otto minuti del film e non può che restarne rapito ed affascinato. Nel film di Lars Von Trier si entra in un’opera d’arte, si diventa elemento insostituibile di una realtà parallela. In questa fase c’è l’intero senso del film che viene impresso in modo inequivocabile e senza possibilità da parte della persona di rifiutarlo; vi è il senso dell’intero dramma. Perché di questo si tratta: un dramma interiore ed un dramma legato al genere umano collettivo.

In questi pochi minuti il tempo si coniuga con un movimento realisticamente singhiozzante. Si respira una tensione di fondo che è preludio a… non lo si sa ancora ma si intuisce che ci sia di mezzo la vita e/o la morte.




Solo dopo che lo spettatore si è nutrito di questo prologo può nascere la storia.

È un film intelligente, geniale, apparentemente povero di contenuti.

È come avere sempre in mano due facce della stessa medaglia. Melancholia è la nostra medaglia.

Melancholia non è solo un titolo che dà un’indicazione sul nome di un asteroide ma è anche lo stato d’animo, di vita che accompagna le protagoniste sorelle del film.

Ci troviamo di fronte a due film nel film stesso: uno che ci parla di Justine (Kirsten Dunst) e l’altro della sorella Claire (Charlotte Gainsbourg); apparentemente molto diverse, entrambe colgono la radice comune del male della sofferenza che le porta ad una non vita.

Nel capitolo “Justine” veniamo a conoscenza del mal di vivere di quest’ultima che la porta alla rinuncia di un matrimonio su tutte le carte vantaggioso e potenzialmente ricco di felicità.

Nel secondo capitolo sono le paure e le debolezze di Claire a prendere il sopravvento facendoci conoscere una donna sola malgrado un matrimonio facoltoso, apparentemente perfetto ed appagante.

Questo è il doppio dramma interiore che emerge dal genio di Lars.




Bellezze algide, la Dunst e la Gainsburg (come peraltro la meravigliosa N. Kidman in “Dogville”) che il regista riesce a far brillare nelle loro più intime sfumature; la compostezza disordinata della protagonista ci fa immediatamente pensare al titolo della pellicola e la Dunst è unica nel trasmetterlo.

Poi c’è il dramma umano che ci coinvolge tutti (l’arrivo dell’asteroide Melancholia che distruggerà l’intera razza umana) e che al di là di ogni possibile riscatto personale decide per noi, inglobandoci in un’unica realtà, come chiudendo un cerchio, anzi Il Cerchio. Come lo chiudono le nostre protagoniste nella loro grotta immaginaria, con l’unico grande potere che in fondo abbiamo ricevuto come esseri umani…chiamatelo come volete…amore, comunione, condivisione…

Consiglio spassionato: film da vedere rigorosamente al cinema, in qualche replica estiva, possibilmente in 3D.

Rizzosi.

martedì 3 aprile 2012

Indicative live @ Capanno Blackout.

-Musica Strumentale.
-Atmosfere cupe.
-Videoart.


Si è svolto nella buona cornice acustica (un po' meno di pubblico, forse iniziare a suonare una mezz'ora dopo sarebbe stata una buona idea) del Capanno Blackout il concerto dei palermitani Indicative.

Se si trattasse di musica classica, gli Indicative sarebbero un quartetto strumentale, composto da due chitarristi, un bassista e un energico batterista, nessun cantante, nessuna voce. Ed è proprio con lo spirito strumentale tipico della musica strumentale classica e contemporanea che gli Indicative vanno ascoltati: un suono rock privo di parole che comunica per immagini sonore.



Lo stile della band siciliana non è facilmente classificabile, indicativo appunto, passa da sonorità pese dell'hard rock fino all'elettronica, un suono che ricorda a tratti i Tool a tratti le colonne sonore dei "poliziotteschi" italiani anni '70, forse per assonanze al progressive rock.

La musica degli Indicative fa riferimento proprio al mondo delle colonne sonore, con video surreali e inquietanti a sfondo della loro performance. Un mondo che dovrebbero approfondire, completando il loro live con una suddivisione brano/video migliore, con più contatti tra immagini video e ritmi musicali. Un mondo che gli potrebbe aprire interessanti finestre ad altri ambiti come i videomaker, i cortometraggi e tutti i festival ad essi collegati.




Gli Indicative, con il loro bagaglio di musica rock strumentale sono un'entità forse unica in Italia, curiosa, potente e diretta come può essere la purezza della musica strumentale.

MG.

giovedì 22 marzo 2012

OMBRE-WOZZECK

-Per riscoprire il valore dell’essenziale
-Per acquistare nuovi punti di vista
-Per rispecchiarci in un’invisibilità comune a tutti



ideazione e regia Claudio Morganti
testo di Rita Frongia
tratto da Wozzeck di Alban Berg
e Woyzeck di Georg Büchner
con Gianluca Balducci, Rita Frongia, Claudio Morganti, Francesco Pennacchia, Antonio Perrone, Gianluca Stetur, Grazia Minutella
musiche di Claudio Morganti tratte da Alban Berg, Arnold Schönberg, Gustav Mahler, Anton Webern,
Arvo Pärt, David Sylvian
tecnico Fausto Bonvini
cura del progetto Adriana Vignali

-Per riscoprire il valore dell’essenziale
-Per acquistare nuovi punti di vista
-Per rispecchiarci in un’invisibilità comune a tutti

Chi accompagna chi? O chi accompagna che cosa?
È l’ombra che prosegue l’essere umano o viceversa?
In un incontro di gelosia e stupore umano si consuma un dramma apparentemente ordinario e schietto.
Non ricerchiamo contenuti filosofici.
Non è la narrazione ad essere protagonista; essa funge da preziosa cornice in uno studio più approfondito in cui ognuno di noi diventa parte di quelle ombre senza volto ma dall’anima visibile.
I movimenti del corpo si perdono nei contorni dati troppo per scontato nel quotidiano. Le ombre cambiano come cambiamo noi stessi nel quotidiano, nello scorrere del tempo.
L’immaginazione si perde nell’oscurità per dar vita ad una moltitudine di colori sempre nuovi.
Le voci parlano finalmente; lo spettatore non le “osserva” ma raffina il proprio udito.
L’incisività della storia che contorna queste anime tiene incollati gli sguardi allo schermo senza avvertir mai la voglia di cambiar canale.
La forza delle immagini viene evidenziata dall’ingigantirsi o meno di queste macchie animate.
La scenografia, anch’essa giocata con le luci diventa fumetto o colore o persino si annulla per dar spazio solo a ciò che veramente conta nella scena.
Un’ultima frase da spendere a favore della musica e dei suoni così intensi da riuscir da soli a sconvolgere chi si trova seduto. Talvolta si rabbrividisce, talvolta si sussulta ma è impossibile restar indifferenti a dei toni così importanti e ricchi di pathos.
Unico neo? Avrei ridotto ancor di più la parte recitata e gradito che fossero anche loro, le protagoniste ombre a ricevere i meritati applausi.



Rizzosi.

mercoledì 14 marzo 2012

Quasi Amici di Olivier Nakache e Eric Toledano.


Quasi Amici di Olivier Nakache e Eric Toledano.

-Amicizia
-Disabilità (senza banalità)
-Nessuna pietà (e ironia)


Due realtà sociali si incontrano/scontrano nella Parigi di questo divertente film, quella di Philippe e Driss, il primo ricco paralizzato dal collo ai piedi trova nel secondo, immigrato senegalese delle banlieue povere della città, un valido badante. I due personaggi sono praticamente contrapposti in tutto e per tutto: dalle condizioni fisiche , la cultura di provenienza, il rapporto con le donne e persino i loro gusti musicali. Eppure sono uniti da un ironico pragmatismo che gli permette d'instaurare le proprie difficoltà (quelle fisiche di Philippe e quello sociali di Driss), fino a farli diventare complici in nome di un'amicizia pura, nel senso più letterale del termine. Il film francese ha il pregio di affrontare un tema delicato, la disabilità, senza nessuna retorica, banalità o caduta di stile. In una scena un amico di Philippe lo avverte che il nuovo badante non ha una fedina penale pulita e conclude il discorso con: "quelli sono senza pietà". Il ricco disabile gli risponde: "per questo mi piace, perchè non ha pietà verso di me".
Ispirato a una storia vera ed arricchito da una colonna sonora (Ludovico Einaudi, Earth, Wind & Fire, fino a Vivaldi), Quasi Amici in patria è valso a Omar Sy nei panni dello statuario Driss due premi, il César e il Lumière. In Italia è arrivato in sordina, ma grazie al passaparola degli spettatori sta resistendo nelle sale, segno che il nostro pubblico qualche volta premia la qualità.

MG

mercoledì 7 marzo 2012

Hugo Cabret di Martin Scorsese.

Primo punto di vista: Hugo Cabret è un simpatico film per bambini, che mischia la realtà storica della Parigi postguerra mondiale alla fantasia meccanica del piccolo Hugo. Pecca un po' sulla parte fantasiosa, un'automa che scrive è un po' anacronistico (ma non del tutto), e poi è un film di fantasia che diamine!


Secondo punto di vista: Hugo Cabret è un omaggio alla storia del cinema in particolar modo ai primi capolavori del cinema muto e all'inventore degli effetti speciali, George Melies. Per farlo si affida a mezzi come la tecnologia 3D e numerose citazioni cinematografiche e ricostruzioni storiche. Raccontare la storia (inventata) del cinema muto con la tecnologia 3D è un modo fantastico per chiudere il cerchio della storia del cinema, può sembrare un controsenso (diciamolo poi spesso gli occhialini e le scene sono alquanto fastidiosi alla retina!), ma la neve tridimensionale su Parigi è un bell'effetto speciale. Quanto alle citazioni storiche, il disastro della stazione Montparnasse sognato dal piccolo Hugo e l'incredibile vita di George Melies valgono da sole tutto il film. Le citazioni cinematografiche mandano in sollucchero ogni amante del cinema muto o studende del DAMS et similari: da "Viaggio nella luna" dello stesso Melies a "Preferisco l'ascensore" per la scena dell'orologio, passando per Chaplin e Buster Keaton scatenando una vera caccia alla citazione. Non è forse un caso che la maggior parte degli oscar se li sono spartiti questa pellicola e "The Artist" un film muto? Forse c'è voglia di guardare il passato?
Si, ma la trama? La trama la trovate ovunque e talvolta pecca un po' nel film rallentandolo troppo. Menzione finale speciale per due attori: Ben Kingsley (premio oscar per Gandhi, qua veramente somigliante al Melies originale) e Sacha Baron Cohen (quello di Borat!) nei panni dell'odioso poliziotto.
MG

giovedì 1 marzo 2012

Paradiso Amaro.

Siamo abituati a vedere George Clooney nei panni dell'uomo cool senza problemi, vestito di tutto punto e senza problemi, l'uomo Nescafè ristretto. Nonostante tutto il buon George cerca spesso ruoli fuori dallo "splendido brizzolato" come nelle "Idi di Marzo" o "Good Night, and Good Luck " e come in questa pellicola appunto. Il regista Alexander Payne indaga sul senso di lutto in un ambito familiare difficile, ma reale: il capofamiglia Matt King (George Clooney) si trova a gestire oltre ad una vendita di un enorme quantità di terreno per conto dei suoi cugini, la moglie in coma, il rapporto non semplice con le due figlie e una serie di personaggi alquanto insoliti (dal suocero all’amico fumato della figlia). Il tutto si svolge nelle isole Hawaii fuori dall’immaginario cinematografico con un caldo inverno oceanico, il look dei personaggi con camicie sgualcite a fiori, case e piscine non perfettamente pulite, insomma un atmosfera molto reale. Il maggior pregio del film è quello di trattare un tema difficile come il dolore (e la rabbia) per un lutto senza retorica e riuscendo a strappare qualche risata amara benefica. Forse meritava qualcosa in più alla notte degli oscar.
MG.


martedì 28 febbraio 2012

Raphael Gualazzi @ Teatro Politeama.

-Giovane Genio e grande band

-Versatalità

-Effetto scenico / luci

L'anno scorso un mese prima di Sanremo un'amica mi ha invitato ad un concerto gratuito al teatro Metastasio di Prato. Era il concerto di un giovane pianista in tour promozionale prima del Festival di Sanremo. Mi disse: "R.G. è un giovane di talento, canta e suona il piano, è stato scoperto dalla Caterina Caselli e ti ho detto tutto". Ancora la ringrazio, fu un bel concerto, molto tecnico e Raphael si mostrò subito come un vero talento del pianoforte.

Poi c'è stato Sanremo e quel capolavoro di "Follia d'amore" con cui il pianista di Urbino ha vinto Sanremo Giovani e poi l'"Eurovision Festival" con la versione inglese della stessa canzone dove è arrivato al secondo posto dietro a un'inutile canzone pop Azerbaigiana (!!!).

Gualazzi torna a Prato, un anno dopo il "misfatto" con uno spettacolo più completo, sfoltito da fronzoli tecnici, accompagnato da una band di tutto rispetto e un set di luci degno di crooner del suo calibro. Pur la giovane età e una timidezza che cerca di battere facendo il ruolo del "piacione", Gualazzi è un vero talento, punto. Le mani scorrono, accarezzano e picchiano i tasti del pianoforte con maestria e velocità, alternando furiose song a canzoni d'amore, passando da musiche soul, blues, ragtime e uno scanzonato stile personalissimo (il suo singolo "Love goes down slow" scelto per uno spot di Trenitalia, è un buon esempio). Si passa da atmosfere di fumosi club jazz anni '30, a tempeste di tasti neri e bianchi, ritmi in levare e musiche "da sorrisi da turista" (definizione data da Gualazzi stesso). Anche se qualche critico smaliziato dice che ricorda Carosone o Paolo Conte, credo che non siano tanti i musicisti di quest'età che riescono ad unire una bravura tecnica, una versalità vocale e una generosità nel diventare accompagnatore alla propria band in assoli di batteria e fiati. Teatro pieno, applausi su applausi e musica d'autore, Gualazzi è un'artista italiano da esportazione.

PS: è fastidioso in un concerto al teatro essere seduti ad una sconosciuta vicina di posto che per tutta la serata smanetta collegata con il suo smartphone. Fai come con chi fuma: digli di smettere!

MG.