venerdì 28 febbraio 2014

Smetto quando voglio

-Una commedia italiana diversa
-I dialoghi e la trama
-Un buon esordio per un regista



L'opera prima del giovane regista italiano Sydney Sibilia è un film ironico e velatamente amaro che racconta, in maniera paradossale ma non troppo, il mondo dei ricercatori universitari nel nostro Belpaese.

Pietro (Edoardo Leo), tipico "bravo ragazzo", è un brillante ricercatore di neurobiologia che si trova, a causa dei tagli all'università, senza contratto di ricerca e senza quella misera paga da ricercatore che, a stenti, gli permette di andare avanti. L'umiliazione e la delusione lo costringono a raccontare una bugia alla sua compagna Giulia (Valeria Solarino): aver avuto il contratto a tempo indeterminato. 


Resosi conto di "come funziona fuori", decide di mettere in pratica i suoi studi e, con il suo amico e collega chimico Alberto (Stefano Fresi), realizzare una nuova "smart drug", la migliore del momento, purissima e non classificata dal Ministero della Salute.



I due assoldano altri amici/colleghi, ottime menti dell'università italiana costretti a far lavori sottopagati e non pertinenti ai loro studi, per mettere sù una banda atta allo spaccio nelle discoteche: due latinisti/benzinai (Valerio Aprea e Lorenzo Lavia), un economista coinvolto con un clan di zingari (Libero De Rienzo), un archeologo sottopagato dalla Sopraintendenza dei Beni Culturali (Paolo Calabresi) e un antropologo (Pietro Sermonti), disoccupato e in cerca di lavoro come manovale, costretto a mentire sulla sua laurea.
Proprio quest'ultimo fornisce uno degli spunti più interessanti di riflessione; durante il colloquio di lavoro, il suo "probabile futuro" titolare gli dice che non vuole assumere laureati e che ha già mandato via tanti come lui!
Ciò che fa riflettere è il fatto che, alla fine e al giorno d'oggi, puoi aver studiato quanto vuoi e quello che vuoi, puoi essere geniale e plurilaureato ma, per andare avanti, sei costretto ad accontentarti di qualsiasi cosa.







Il film si snoda in una trama ben costruita, a tratti tarantiniana e con riferimenti alla nota serie televisiva "Breaking Bad". I dialoghi ironici e accademici sono volutamente rindondanti ma mai banali e costituiscono il punto di forza della pellicola.




Il film è una versione al contrario dei "Soliti Ignoti" e ha un duplice messaggio: il classico "il crimine non paga" e che le migliori menti del paese (quando non sono invischiati in giochi politici e non emigrano) sono disoccupati.

Purtroppo, un'amara verità.


MG.

sabato 22 febbraio 2014

12 Anni Schiavo

- Per capire, anche se fa male.
- Per non dimenticare.
- Perché sai che non sono solo 12 anni.

Sei un negro eccezionale, e questo non ti porterà molto lontano.”





1841. Un giorno sei con la tua famiglia, nella tua città (Saratoga, NY), uno degli stati non schiavisti degli Stati Uniti; il giorno dopo sei solo perché tua moglie accetta un lavoro temporaneo lontano da casa. Tre settimane senza vederla, ce la farai? Sebbene sia una sfida difficile da superare per un marito innamorato, non sarà l’unica che dovrai affrontare. Senza che tu te ne accorga verrai ingannato attraverso un’illusione, ti drogheranno, ti imprigioneranno e ti venderanno come una bestia; ti cambieranno il nome, ti trasferiranno nel Sud schiavista e finirai la tua vita di uomo libero, forse.
Il film del regista inglese Steve McQueen, è il terzo in circa due anni (dopo “Lincoln” di Spielberg e “Django Unchained” di Tarantino) a confrontarsi col tema della schiavitù. Basandosi su una storia realmente accaduta, McQueen offre un ritratto crudo, forte e incredibilmente disumano dell’odissea personale di Solomon Northup, stimato violinista nero che si ritrova improvvisamente davanti alla cattiveria e prepotenza di quegli anni. Solomon passa da un padrone all’altro, di male in peggio, subisce umiliazioni infinite, viene punito per qualsiasi iniziativa personale ma affronta con dignità e coraggio la follia animale dei proprietari di schiavi, sempre più accecati dalla bramosia, dall’odio e dall’ignoranza. Sulla sua strada, che appare sempre più in salita, apparirà un altro uomo solo e libero, un 
viandante che permetterà a Salomon di non cedere all’odio ma di attendere il riscatto.






Umanità e fierezza sono infatti i sentimenti che l’attore protagonista Chiwetel Ejiofor riesce a trasmettere e a sostenere per l’intero film, in netto contrasto con la brutalità, a volte anche ridicolizzata, magistralmente resa da Michael Fassbender (Epps). Il piano sequenza scelto da McQueen per le scene più crude dà la sensazione della velocità, dell’irrazionalità delle azioni commesse e lascia nello spettatore un senso di empatia straziante che può portare cinicamente a contare le frustate inferte. Notevoli le interpretazioni delle attrici Lupita Nyong’o (Patsey) e Adepero Oduye (Eliza), le uniche voci con cui Solomon ha un sincero confronto.





L’intento di McQueen traspare timidamente tra le righe. Il trasferimento forzato verso i campi di lavoro del Sud a bordo di un battello stipato di uomini, donne e bambini; i nomi veri dimenticati e sostituiti dai nomi da schiavo; l’obbligo di assistere all’uccisione e alle tremende punizioni inferte ai compagni di lavoro. I passi pesanti che piombano di notte nelle camerate e la speranza che la follia di quel momento non si avventi su di te, i piaceri del potente da soddisfare perché sostiene di poter disporre di come vuole “con ciò che gli appartiene”, evocano eventi (e film) tristemente noti in Europa e meritano di essere osservati con gli stessi identici occhi. Identici.

AuLin




giovedì 13 febbraio 2014

A proposito di Davis

-Se si è appassionati di Folk.
-Il Village della New York degli anni '60.
-La musica, parte centrale (fin troppo) del film.





L'ultimo film dei fratelli Coen è un chiaro omaggio alla musica Folk e al Greenwich Village, il quartiere di Manhattan famoso per la scena bohèmienne e la cultura alternativa.



Llewyn Davis (Oscar Isaac) è un bravo cantante chitarrista senza soldi nè fortuna, con ottime doti musicali, quanto di un pessimo carattere. La notte dorme sui divani o per terra, negli appartamenti dei suoi amici e suona in polverosi club. I suoi amici Jim (Justine Timberlake in una veste insolita di cantante folk) e Jean (Carey Mulligan) lo sopportano e in qualche modo cercano di aiutarlo trovandogli ingaggi musicali. Ma l'attitudine negativa di Davis non sembra portarlo da nessuna parte.



In effetti anche il film non va da nessuna parte ed è l'unico grande difetto: La trama.

Sembra che i fratelli Coen si siano concentrati sulle canzoni (eseguite sempre magistralmente), sulla fotografia, sulla ricostruzione del Village, sulla ruvidità dell'abbigliamento e sembra che abbiano dato poca importanza alla sceneggiatura (tra l'altro proprio dei fratelli Coen!). Il protagonista rimbalza da un personaggio all'altro, aprendo controversie e spunti narrativi e non ne chiude uno.



Anche le scene con il gatto potevano essere delle splendide metafore comunicative, invece rimangono ottimi esercizi visivi di cinema, ma inspiegabilmente vuoti.




Peccato, A proposito di Davis poteva essere un bellissimo film con pochi piccoli accorgimenti narrativi. Invece è soltanto uno splendido omaggio al mondo musicale di Bob Dylan, prima che usasse la chitarra elettrica.

MG.

mercoledì 12 febbraio 2014

The Wolf of Wall Street

- La follia di Scorsese
Il senso di onnipotenza di tutto il film
- La bravura e la spregiudicatezza di Di Caprio




La bravura di Leonardo Di Caprio non si smentisce mai!
Uomo capace di interpretare al meglio qualsiasi ruolo affidatogli, per l'ennesima volta ce lo dimostra in un nuovo film: The Wolf of Wall Street.
Con la regia di Martin Scorsese, è tratto dalla storia vera di Jordan Belfort , imprenditore e scrittore statunitense figlio di due commercialisti, che scala le vette del distretto finanziario di New York. 
Introdotto e catapultato fuori da Wall Street nel giro di un balzo, grazie al lunedì nero della borsa di NY, ricomincia la sua vita lavorativa partendo da zero, insieme ad un gruppo di "disgraziati", per lo più spacciatori, e arriva a fondare la  Stratton Oakmont,  società di brokeraggio che vendeva telefonicamente penny stock (titoli a basso costo), ingannando gli investitori e arricchendosi illegalmente alle loro spalle.




"L'anno in cui ho compiuto 26 anni ho guadagnato 49 milioni di dollari, il che mi ha fatto molto incazzare perchè con altri 3 arrivavo a un milione a settimana".

L'intento di Scorsese non è quello di fare un film sugli affari sporchi della finanza, come ha fatto Oliver Stone con i due "Wall Street" (tra l'altro il protagonista Gordon Gekko è citato da uno dei protagonisti del film). 

"ma perché vi annoio sul mondo della borsa americana?"

No, il mondo della finanza è solo lo sfondo di quello che è il vero focus del regista: droga, sesso e soldi. 
Il potere e la spregiudicatezza viene raccontata da Jordan Belfort guardando negli occhi gli spettatori, per spiegare l'uso smodato degli eccessi: cocaina, crack, marijuana e Quaaludes (un farmaco ritirato dal commercio usato come stupefacente), il sesso compulsivo e i tantissimi soldi fatti facilmente.





Tre ore di film che scorrono con un ritmo piacevole tra azioni e situazioni assurde ma estremamente reali, richiami leggeri a Tarantino e immoralità pura. Una commedia nera pronta a vomitare il grottesco, l'eccessivo e lo smisurato della vita quotidiana di questi personaggi immersi in ore lavorative tramutate in orge, drogaparty e divertimenti assurdi come il lancio dei nani.




Sesso, soldi e droga si mischiano continuamente nel film e rappresentano la follia che il protagonista e i suoi inquietanti soci/amici usano in tutti i modi possibili. Su questi elementi il regista non risparmia niente, con tanto di scene dettagliate che risaltano la folle gloria e la bellezza di Di Caprio. Una gloria destinata a decadere, ma non per questo meno affascinante.








Lusso e lussuria, follia e spregiudicatezza, demenza e decadenza. Sono queste le caratteristiche che Scorsese vuole risaltare per descrivere un modello di business che ancora oggi impera nel mondo del capitalismo? 
Il dubbio che rimane è quello di domandarsi fino a che punto il messaggio arrivi al pubblico. 

Di sicuro il film seduce come una rosa e colpisce come un pugno lo spettatore.


M.G. & marel

domenica 9 febbraio 2014

"Il Cammino di Santiago in taxi"


- Per farsi trascinare in un mondo "alternativo"
- Perché abbiamo aspettato tanto questo nuovo album
- La prova che il buon cantautorato italiano non è morto, anzi...


Brunori Sas, classe 1977, a distanza di 5 anni dal primo album, ha presentato, giovedì 6 febbraio 2014 alla Feltrinelli di Firenze, il suo nuovo lavoro discografico.



Dario, nome di battesimo del cantautore, in perfetto completo scuro, barba brizzolata e occhialoni d'ordinanza, ci racconta, tra un pezzo e l'altro (tra i quali è d'obbligo menzionare lo splendido unplugged de Le quattro volte), la genesi di questa sua ultima fatica: Vol.3 - Il cammino di Santiago in taxi.





Dal titolo semplice e dal sottotitolo stravagante, il disco è stato inciso all'interno di una chiesa (non sconsacrata!) di frati cappuccini immersa nella campagna calabrese, cercando di riportare nell'inciso la libertà e la forza del live.
La protagonista che ha ispirato il titolo è una sua compaesana che voleva andare a Santiago de Compostela, ma siccome aveva fretta e non voleva faticare fece il percorso in taxi; da qui l'ossimoro del titolo che sta proprio nella voglia di arrivare a qualcosa senza troppi sforzi: l'ansia e l'attesa non sono piacevoli, vogliamo tutto e subito, la lentezza non è certamente “roba moderna”; tra smartphone, notifiche via web ed e-mail non si ha più il tempo di fermarci ad assaporare la vita nella sua straordinaria semplicità...
Nascono così canzoni autobiografiche, come sempre ricche di immagini che rimandano ad una quotidianità fatta di variegati personaggi densi di progetti, sogni, delusioni e speranze, amore e difficoltà, il tutto condito da sonorità che ricordano tempi ed atmosfere lontane, narrate dalla voce roca e romantica di questo bravo artista italiano, non più così indipendente, come dimostra il secondo posto in classifica, “ma non è il primo”, come ironizza Brunori, affermando con marcato accento calabrese che “è nello spirito meridionale non mostrare la gioia e lamentarsi”(n.d.r).


Brunori SAS
Sabato 8 marzo 2014 alle ore 21.30
Auditorium Flog, Firenze

Nesh

mercoledì 5 febbraio 2014

Coez - Live al Viper.


- Hip-hop.
- Pop? Elettronica?!?
- La nuova musica italiana.

Se un paio di anni fa mi avessero chiesto "quali saranno i nuovi artisti emergenti interessanti nella scena musicale italiana" avrei risposto: Dente, Brunori Sas e I Gatti Mezzi. Se mi fate la stessa domanda adesso rispondo: Coez.

Coez non è un esordiente; rapper romano con la sua crew Brokenspeakers suona da anni sui palchi della scena hip-hop di tutta Italia. Poi qualcosa in lui cambia, come se l'hip-hop non gli bastasse più, come se cercasse nuove sonorità, nuovi spazi musicali. L'album "Non erano fiori" prodotto da Riccardo Senigallia (già produttore di Tiromancino e Luca Carboni) ne è la conferma.



Reduce da un concerto strapieno all'Atlantico di Roma con tutta la band, Coez si è presentato venerdì 31 gennaio in  formazione minimale, molto hip-hop: un mc e un deejay!

Il pubblico (in particolare quello femminile) conosce bene i brani di Coez, anche se non passano in airplay dalle radio nazionali. Dai pezzi più lenti come "Ali sporche" e "Lontana da me" a "Hangover" e "Invece No" che fanno saltare il pubblico, i ragazzi ballano, cantano e lo chiamano "SILVANOOO!". Sintomo che a volte youtube, spotify e qualche passaggio su MTV funzionano molto più delle blasonate major.




La sala non pienissima e il clima un po' minimale fanno si che il concerto non sia quella botta di energia che meriterebbe di avere. Coez rappa con stile e canta con altrettanta forza. Le parole dei suoi pezzi parlano di storie d'amore finite, di solitudine, di bicchieri pieni e svuotati ("E invece no" è la "Reahab" di Amy Winehouse in versione italiana) e sono scelte, sempre, molto accuratamente. La stoffa dell'artista c'è, forse ci vuole uno show più costruito a tavolino. Come per Brunori? ne riparliamo presto!



MG