domenica 8 aprile 2012

Melancholia di Lars von Trier

-Kirsten Dunst e Charlotte Gainsbourg

-Il gusto di un’opera d’arte

-Surrealismo e cinismo

ATTENZIONE: questa recensione contiene spoiler sulla trama del film.

Lo spettatore guarda ed ascolta i primi otto minuti del film e non può che restarne rapito ed affascinato. Nel film di Lars Von Trier si entra in un’opera d’arte, si diventa elemento insostituibile di una realtà parallela. In questa fase c’è l’intero senso del film che viene impresso in modo inequivocabile e senza possibilità da parte della persona di rifiutarlo; vi è il senso dell’intero dramma. Perché di questo si tratta: un dramma interiore ed un dramma legato al genere umano collettivo.

In questi pochi minuti il tempo si coniuga con un movimento realisticamente singhiozzante. Si respira una tensione di fondo che è preludio a… non lo si sa ancora ma si intuisce che ci sia di mezzo la vita e/o la morte.




Solo dopo che lo spettatore si è nutrito di questo prologo può nascere la storia.

È un film intelligente, geniale, apparentemente povero di contenuti.

È come avere sempre in mano due facce della stessa medaglia. Melancholia è la nostra medaglia.

Melancholia non è solo un titolo che dà un’indicazione sul nome di un asteroide ma è anche lo stato d’animo, di vita che accompagna le protagoniste sorelle del film.

Ci troviamo di fronte a due film nel film stesso: uno che ci parla di Justine (Kirsten Dunst) e l’altro della sorella Claire (Charlotte Gainsbourg); apparentemente molto diverse, entrambe colgono la radice comune del male della sofferenza che le porta ad una non vita.

Nel capitolo “Justine” veniamo a conoscenza del mal di vivere di quest’ultima che la porta alla rinuncia di un matrimonio su tutte le carte vantaggioso e potenzialmente ricco di felicità.

Nel secondo capitolo sono le paure e le debolezze di Claire a prendere il sopravvento facendoci conoscere una donna sola malgrado un matrimonio facoltoso, apparentemente perfetto ed appagante.

Questo è il doppio dramma interiore che emerge dal genio di Lars.




Bellezze algide, la Dunst e la Gainsburg (come peraltro la meravigliosa N. Kidman in “Dogville”) che il regista riesce a far brillare nelle loro più intime sfumature; la compostezza disordinata della protagonista ci fa immediatamente pensare al titolo della pellicola e la Dunst è unica nel trasmetterlo.

Poi c’è il dramma umano che ci coinvolge tutti (l’arrivo dell’asteroide Melancholia che distruggerà l’intera razza umana) e che al di là di ogni possibile riscatto personale decide per noi, inglobandoci in un’unica realtà, come chiudendo un cerchio, anzi Il Cerchio. Come lo chiudono le nostre protagoniste nella loro grotta immaginaria, con l’unico grande potere che in fondo abbiamo ricevuto come esseri umani…chiamatelo come volete…amore, comunione, condivisione…

Consiglio spassionato: film da vedere rigorosamente al cinema, in qualche replica estiva, possibilmente in 3D.

Rizzosi.

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