domenica 24 febbraio 2013

Così in Terra


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Davide Enia, Così in terra 
-Dalai Editore-




Così in terra
testo e lettura di Davide Enia
Teatro Metastasio di Prato 15 febbraio 2013


Accompagnato dal maestro Giulio Barocchieri alla chitarra, Davide Enia porta sul palcoscenico il suo libro illustrando la Palermo nella quale è cresciuto, quella reale, quella violenta degli anni '80.

Davide Enia, pugile. Davide Enia, pugile come suo padre, pugile come suo nonno.

Uno stralcio di vita vissuta che va dalla prima guerra mondiale, alla guerra d'Africa, agli anni più vicini a noi, gli anni '90. Il racconto di una Palermo sporca, feroce dove, in questo caso, la boxe è sinonimo di lotta, di reazione contro ciò che ci mette al tappeto… 

Lo Spettacolo comincia con un breve "canto" in siciliano, quasi una nenia, per poi continuare con la lettura, "interpretata" e commentata dall'autore, di alcune parti del racconto.

Davidù, per la prima volta sul ring a 9 anni contro Carlo, 26. Davide finisce al tappeto. 
Davidù, cresciuto senza padre ma sotto la protezione dello Zio, zio Umbertino.
Davide con lo zio dal barbiere dove, con un giornaletto erotico tra le mani, ascolta attentamente il dialogo sugli "arrusi". 
Per chi non lo sapesse "arruso" in palermitano è sinonimo di omosessuale.
Una malattia. Si viene contagiati anche bevendo dalla stessa bottiglia ma, per essere sicuri di essere ancora "sani" si va da Pina, la prostituta del paese… ed è qui che Umbertino s'incazza. Si alza, si avvicina a Toni e gli "da la possibilità" di scegliere tra braccia o gambe. La scelta scartata non rimarrà intera e nessuno dirà niente, Toni sarà, magicamente caduto!

Il racconto si sposta alla prima guerra mondiale, a Umbertino adolescente, vivo grazie ad una prostituta, una buttana, semplicemente perché quando una bomba cadde sulla sua casa, lui era a "ficcare" con lei. Dalla guerra in poi Ubertino andrà sempre a "buttane" portando loro rispetto e gratitudine.

Il racconto torna a Davidù, al suo amichetto Gerruso, un bimbo mite, buono come il pane, purtroppo vittima del bullismo tra bambini e descrive la scena pietosa dello scontro tra Gerruso e il prepotente di turno, tale Pullara, che lo incita a tagliarsi una falange minacciando di far male alla cugina, la bambina dai capelli rossi e poi la promessa, quella che fa Davide: "non le succederà niente".
La caduta di Gerruso, Pullara, la bambina, i pugni, il sangue, le auto, gli spari, la polizia e zio Umbertino che lo prende e lo riporta sul ring a sfogare la rabbia, quella rabbia che ti fa andare avanti quando devi reagire al disonesto. 
L'unico pensiero di Davidù mentre combatte è Lei.

Torna indietro, alla guerra d'Africa, alla voglia di vivere e lottare dei prigionieri e al nonno Rosario, sopravvissuto.

Poi passa alla donna killer: Mery, che Umbertino chiamava Lazzara perché "resuscitava la minchia anche ai morti", figlia e nipote di "pulla" (sinonimo di prostituta); Lazzara, la migliore, la pulla più pagata di Ballarò già a 14 anni. Lazzara che lo adora perché non la definisce "bona" come tutti gli altri ma bella, un termine di una delicatezza che pochi considerano tale. ... "La felicità di una buttana!"

Ci racconta poi il matrimonio, divertentissimo, dei genitori e conclude con l'apertura della palestra e del "baratto" di zio Umbertino col prete: "Ascoltami buono, prete, accussì evitiamo di perdere tempo. Per ogni persona che mi arriva in palestra dalla tua parrocchia, io ti faccio avere, ogni domenica, pagata da ìddu, una offerta che tu m'avìssi a baciare le mani, prete. Quindi, quando dici messa, all'omelia ci devi consigliare ai fedeli di venire in palestra 'nni mmìa, il motivo t'u inventi tu, voi siete bravi a parlare, prete..."





Lo spettacolo finisce con l'uscita del chitarrista e con l'autore che si siede davanti al pubblico a chiacchierare come i vecchini per le strade di palermo, della sicilia in generale, nei pomeriggi caldi all'ombra dei tetti col profumo del tempo che si ferma e i bambini a correre per le strade e ci racconta l'inizio della sua vita pugilistica, dall'essere "nessuno" in palestra ad essere qualcuno a cui portare rispetto solo per aver trovato il coraggio di rispondere all'allenatore. Finisce comunque con un pugno in faccia e la frase "Signor scrittore, la guardia alta!".


Uomo simpaticissimo e autoironico, dallo spiccato accento siculo, Enia ci fa entrare in quel mondo, quello dei pregiudizi, dell'omertà e della facile e "innocente" corruzione facendoci immaginare le scene per come sono, tragiche e comiche, viste dall'esterno ma anche viste attraverso gli occhi di quel bambino. 
Ci fa vivere ogni emozione provata, ogni sensazione, ogni paura. 
Tutto questo solo dalla rappresentazione teatrale... figuriamoci a leggere il libro!

marel

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