-per assistere ad una favola grottesca
-per ridere
-per l'istrionismo di Timi
-per l'istrionismo di Timi
La tragedia dell'Amleto è generalmente riconosciuta
come il senso stesso del teatro, il simbolo, l'icona quasi sacra, l'alfa e
l'omega con la quale ogni bravo attore deve prima o poi fare i conti. Amleto è
tormentato e per questo affascinante, simbolo di un dissidio interiore che lo
rende ambiguo nei confronti degli altri, ma soprattutto con se stesso, scuro,
caratterizzato dal classico abito nero e continuamente perseguitato dai
fantasmi della sua famiglia.
Filippo-Amleto-Timi, al teatro della Pergola di Firenze ad inizio gennaio, è invece, protagonista del
nostro tempo, un “ragazzino” viziato e annoiato, comico, spiazzante, colorato
ma al tempo stesso ambiguo nei suoi gesti e nelle sue parole; è, dunque,
elevato a potenza, perchè riesce a coniugare la tragedia, che caratterizza la
storia, alla commedia costruita dall'attore umbro.
La scena fissa, il sapiente gioco di luci e le
musiche, assolutamente azzeccate e accattivanti, i duetti comici, spesso anche
un po' troppo portati all'esasperazione, concorrono a realizzare le fasi della
pazzia avanzata del protagonista, conducendoci al commovente monologo finale di
Ofelia, bisbigliato tra le braccia di colui che aveva ingannato il suo amore,
l'unica ad essere rimasta così come Shakespeare la vuole, eterea, ingenua e
innamorata, l'unica che impazzisce sul serio per la più nobile delle cause,
l'amore.
Nesh
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